I 7 Chakra: una mappa per il viaggio del Sè

Che tu sia un principiante oppure un praticante esperto, hai sicuramente sentito nominare i Chakra. Prima di vedere alcune caratteristiche di ciascuno dei sette Chakra principali, voglio offrirti una panoramica sul sistema dei Chakra, che fornisce un po’ una “mappa” per il nostro viaggio interiore.

Nel corso di migliaia di anni, infatti, in  India è stata condotta una intensa ricerca per comprendere lo spirito umano. Questa ricerca ha condotto allo sviluppo di molte mappe per la comprensione dell’universo interiore ed esteriore dell’essere umano. Un fattore comune in queste mappe è un approccio che integra corpo, mente e spirito e guarda agli individui come microcosmi che appartengono a un più ampio universo, che allo stesso tempo rappresentano.

I Chakra sono una tessera importante nel progetto completo di comprensione e definizione dei parametri dello spirito umano. Queste diverse mappe dell’essere -i kosha (involucro fisico, energetico, psico-emotivo, mentale e spirituale), i cinque elementi (terra, acqua, fuoco, aria ed etere), i Chakra–  si sostengono a vicenda ed unite formano l’immagine completa dell’essere umano e del nostro universo.

I Chakra formano parte integrante del Tantra yoga. Un aspetto chiave del Tantra è l’approccio positivo nei confronti del corpo fisico, per cui tutti gli aspetti della persona sono inclusi nella ricerca spirituale. La radice delle energie che devono essere risvegliate nel corpo è il potere della creazione stessa, la Kundalini. Questa energia dormiente rappresenta il potenziale di trasformazione spirituale e di risveglio ed è  evolutiva per sua stessa natura. Le pratiche di Hatha yoga sono usate per risvegliare e canalizzare queste energie per la trasformazione spirituale.

L’esperienza dei Chakra è considerato l’ambito di studio del Kundalini yoga.

L’esplorazione dei Chakra nella pratica è presa in considerazione anche nello yoga classico di Patanjali che forma la base filosofica della tradizione yogica. Nel terzo capitolo degli Yoga Sutras, Patanjali fornisce istruzioni dettagliate per la meditazione e molti dei chakra sono descritti come aspetti della pratica meditativa.

I Chakra rappresentano un elemento chiave anche in alcuni testi più tardi come l’Hatha yoga Pradipika o lo Shiva Samhita.

Quindi, nelle diverse tradizioni, le pratiche yogiche  vengono viste come strumenti per aprire, allineare ed equilibrare i Chakra. Queste tecniche funzionano sia purificando il corpo sia canalizzando l’energia dentro e attraverso i Chakra.

Dal momento che, come dice Pattabhi Jois, “Lo yoga è 99% pratica e 1% teoria”, ti invito a partecipare a una settimana di Yoga in Vacanza -Risveglia i chakra attraverso la pratica- che sto organizzando dal 1 all’8 luglio a Kytnos in Grecia. Sarà un’occasione per una pratica approfondita, in uno scenario naturale incantevole e nello spirito di condivisione.
Per maggiori informazioni, vai al link dell’evento.

La parola Chakra significa ruota. Si tratta di vortici di energia che ricevono energia dall’universo, la immagazzinando, e la distribuiscono a parti specifiche dell’insieme mente/corpo, attraverso una rete di sottili canali psichici, le nadi. I Chakra fanno parte del nostro corpo di energia, pranamaya kosha, ma la loro attività si estende ad ogni aspetto del nostro essere. Se vuoi avere un’idea del sistema energetico all’interno del quale si situano i Chakra, puoi leggere il mio articolo sulla  fisiologia sottile dello yoga.

Nella loro sostanza, tutte le energie dentro l’universo e dentro il corpo sono manifestazioni della fonte unica di energia. Queste energie tuttavia vibrano a diverse frequenze per soddisfare specifiche esigenze. I Chakra rappresentano queste differenti frequenze energetiche. Inoltre ad ognuna di queste frequenze è assegnata ad una zona del corpo e la propria funzione specifica. Ogni energia dei Chakra ha anche un tema specifico, che include archetipi fondamentali come la sopravvivenza, l’amore o la trasformazione spirituale e sono organizzati lungo una gerarchia evolutiva dei bisogni umani cominciando dalla sopravvivenza ed evolvendo attraverso la procreazione, la socializzazione, l’altruismo e l’intuizione, finché l’evoluzione spirituale non si manifesta nello sviluppo della consapevolezza unitiva.

I Chakra sono quindi archetipi di trasformazione e potenziale ad ogni livello del nostro essere. Questo potenziale latente è simbolicamente rappresentato dal fiore di loto (i Chakra vengono chiamati anche “loto”). Ogni Chakra viene raffigurato da un loto,  con un colore e un numero di petali caratteristico. Il numero dei petali aumenta man  mano che procediamo all’interno del sistema dei Chakra e rappresenta l’aumentata complessità di ogni centro energetico. I Chakra costituiscono una cornice psicologica, filosofica e spirituale per l’evoluzione e lo sviluppo dell’essere umano. Ad ogni passo del cammino, i Chakra descrivono un’area della nostra vita da esplorare, integrare e trasformare. Ogni Chakra costituisce le fondamenta per il Chakra successivo,  ed i temi centrali di sviluppo di ogni Chakra devono essere soddisfatti per poter soddisfare le intenzioni dei Chakra che seguono. Nonostante i Chakra formino una gerarchia, questo non significa però che l’evoluzione proceda in modo lineare.

Vuoi conoscere anche qualcosa in più su ognuno dei 7 Chakra principali?

  1. Muladhara – il primo Chakra
  2. Svadhistana – il secondo Chakra
  3. Manipura – il terzo Chakra
  4. Anahata – il quarto Chakra
  5. Vishudda – il quinto Chakra
  6. Ajna – il sesto Chakra
  7. Sahasrara – il settimo Chakra
Micaela Jorio. Nata a Roma nel 1968, madre di due figli. Pratico Hatha yoga dalla metà degli anni ’90 e lo insegno dal 2000. Kriyaban. Reiki Master. Insegnante certificata di Yoga in Volo e di Shakti Dance. Co-ideatrice e co-organizzatrice della manifestazione Energie nel Parco, insegno a Viterbo presso Energy Center “Le Torrette”.
Blog: www.vitadayogi.com

Mantra – Il potere dei sacri suoni

Fin dai tempi più remote la musica è sempre stata un mezzo molto potente per il risveglio della Coscienza Spirituale, per non parlare del suo valore nel liberare le tensioni emozionali ed indurre uno stato profonda tranquillità e rilassamento.
Esistono tipi di musica che possono stimolare il corpo, la mente, le sensazioni e le emozioni. E’ stato dimostrato che i differenti stati della personalità umana possono essere influenzati dalle vibrazioni sonore contenute in una melodia.

Le vibrazioni possono modificare la mente, cambiare le condizioni fisiche, rivitalizzare le cellule del corpo e le aree sconosciute della mente.
Ogni suono è vibrazione, ogni parola pronunciata produce vibrazioni.
Ogni parola crea una serie di immagini nella mente di colui che la ascolta e la percepisce.

I Mantra sono combinazioni precise di parole e suoni; suoni carichi di energia, di potenza ed hanno la capacità di evocare la Divinità (l’Energia) alla quale si riferiscono.
Non dobbiamo confondere i Mantra con le Preghiere: queste ultime, infatti, sono formate da parole di supplica scelte appositamente dal devoto per chiedere qualcosa.
Con il Mantra, invece, cerchiamo semplicemente di avvicinarci al Divino.
Questo richiede sforzo e costanza nella pratica e dobbiamo ricordare che noi stessi siamo gli unici artefici del nostro sviluppo e della nostra crescita.

Poiché la mente è fortemente influenzata dalle percezioni sensoriali ed è sempre concentrata su ciò che succede intorno al corpo o al corpo stesso, può essere d’aiuto partire proprio dal controllo del corpo. Rilassando il corpo, infatti, si può riuscire a calmare le agitazioni della mente. Giusti esercizi corporei, un giusto sonno, una sana alimentazione e una corretta respirazione, aiutano a placare la mente.

Curare i nostro corpo è utile, poiché se il corpo è debole e sottoposto a stress, la mente diverrà distratta e confusa, sarà così impossibile concentrarsi in maniera corretta. Sicuramente una mente rilassata porta beneficio al corpo, ma è altrettanto vero che un corpo sano porta ad avere una mente meno agitata.

Il Mantra è un insieme di suoni che riescono ad interiorizzare la mente e agiscono con le loro frequenze anche sul piano fisico. Il Mantra può essere ripetuto molte volte aiutati dal mala (una sorta di rosario) in maniera udibile, sottovoce o solo mentalmente, risvegliando, tramite la pratica costante, gli immensi poteri che l’uomo ha in sé e che ancora non conosce.

La parola Mantra è formata da due particelle: “Man” significa mente e “Tri” significa attraverso. Il Mantra serve per attraversare il mare della mente. Questa similitudine è molto appropriata, in quanto la mente è proprio come il mare, che in alcuni giorni è in burrasca mentre in altri è calmo.  In questo mare riusciamo a vedere solo gli strati superficiali e non il profondo dove in realtà sono nascoste le cause dei nostri mali, le paure, l’ansia, la brama…

Il Mantra serve a controllare questi pensieri negativi. Dunque, il mantra, il cui uso è largamente diffuso nella tradizione indiana, è uno strumento potente per mezzo del quale si intende ottenere il controllo della mente o indurre nella stessa contenuti diversi dagli usuali. Ma nessun tentativo di definizione, tuttavia, può esprimere in modo adeguato il significato che tale nome assume nella cultura indù. In altri termini il Mantra è per la cultura indiana uno strumento verbale a cui i più attribuiscono straordinari poteri.

Con l’utilizzo di un Mantra appropriato tutto sembra divenire possibile e nessun indiano mostra dubbi nel collegare il Mantra allo Shabda Brahman o Suono Divino. Correttamente recitati e intonati divennero nell’antichità parte integrante della liturgia, ponendosi addirittura come strumento di comunicazione con la divinità prescelta.

Nei tempi moderni, l’efficacia del Mantra non è tanto ricollegabile al significato delle parole che lo compongono, ma alla disciplina mentale che esso rappresenta, costituita da induzione nella stessa mente di impulsi volti all’elevazione e all’auto guarigione. Sicuramente il mantenere la mente impegnata su contenuti “migliori” degli usuali, induce il fiorire di una diversa natura nel praticante. Si afferma nella moderna psicologia che persino una bugia ripetuta più di sessanta volte diviene per chi la sostiene una verità.

Per la stessa ragione esprimere con la propria mente migliaia di volte un “proposito”, se così si può dire, può portare verso una concreta realizzazione. Una goccia d’acqua può realizzare assai poco, ma centinaia di milioni di gocce possono praticare un taglio nella roccia, oppure cambiare addirittura la morfologia della terra.

Non bisogna tuttavia dimenticare che, sempre secondo la cultura indiana, l’obiettivo più elevato di tali formule è quello di realizzare un collegamento diretto con il Divino. Il Mantra è uno strumento considerato facile, ma serio, al quale si può ricorrere per stabilizzare la mente su un’idea e mono-direzionarla verso un obiettivo.

Il Mantra è una potente e breve formula spirituale che ha la capacità di trasformare la coscienza. Non c’è nulla di ipnotico o di magico, è solo una questione di pratica.  

Quando pratichiamo il Mantra, stiamo richiamando il più grande potere che siamo in grado di concepire: possiamo chiamarlo Dio, Realtà Ultima o Sè Interiore. Qualunque nome gli attribuiamo, con il Mantra stiamo richiamando la parte migliore che c’è in noi.

E’ una pratica che si riscontra sia nelle religioni occidentali, dove prende il nome di Nome Santo, sia nella religione induista che in quella buddhista, dove prende appunto il nome di Mantra. E’ fondamentale che una volta scelto il Mantra non si cambi, per non rischiare di fare come il contadino che per trovare l’acqua, scava innumerevoli buche in superficie senza risultato, mentre se avesse impiegato lo stesso tempo per scavarne una sola profonda l’avrebbe sicuramente trovata.

Il Mantra non è una vera e propria preghiera; con la preghiera, infatti, noi chiediamo qualcosa, mentre con il Mantra cerchiamo di avvicinarci al divino.  Più lo si ripete, più esso affonda le proprie radici nella nostra coscienza tanto che continueremo a ripeterlo mentalmente senza nemmeno rendercene conto.

Il Mantra ha anche una funzione calmante a livello mentale. Nel profondo di noi stessi abbiamo immense risorse che possiamo utilizzare per avere il controllo della nostra mente. Molte persone pensano che un controllo impedirebbe il libero scorrere dei pensieri eppure a nessuno viene in mente di mettere in discussione la necessità del controllo e della disciplina quando ci si deve impadronire di abilità di tipo fisico.

Più la mente diventa calma e stabile, più riusciamo a realizzare nella vita quotidiana, la nostra vera gioia e ad acquistare quell’instancabile energia nell’operare per il benessere del prossimo. Quando siamo preoccupati, inquieti o mossi da un bisogno urgente di soddisfazione personale a spese del nostro prossimo, il Mantra può trasformare queste emozioni in una fonte di forte potere e aiutarci a non agire e parlare impulsivamente: questo non significa reprimere le emozioni, bensì usarle, invece di farci usare da esse.

Un’enorme quantità di energia vitale viene dispersa nell’oscillazione della mente tra ciò che ci è gradito e ciò che non lo è, quando siamo prigionieri di preferenze e avversioni, di opinioni ferme e abitudini rigide non possiamo agire al nostro meglio né conoscere una vera sicurezza.

Viviamo alla mercé di circostanze esterne: se le cose vanno come diciamo allora siamo contenti, in caso contrario siamo depressi. E’ difficile modificarsi, essere elastici e accettare qualunque cambiamento, ma possiamo provarci.

Le persone che hanno sviluppato questa preziosa qualità sono in grado di riprendere la loro posizione ogni volta che la vita prova ad abbatterle. Per affrontare i lavori sgraditi bisogna seguire alcune semplici regole: attenzione totale e non rimandare ciò che deve essere fatto… così si otterranno i migliori risultati nel minor tempo possibile.

Siamo costantemente condizionati a ricercare l’eccitazione come se fosse la quinta essenza della vita. Ciò che non è eccitante ci appare solo noioso e monotono. Se ci sentiamo vivi solo quando siamo euforici allora saremo condannati a sentirci depressi quando l’eccitazione svanisce.

La legge della natura stabilisce che ciò che sale deve inevitabilmente scendere, più saremo eccitati prima più saremo depressi dopo e così via in una continua altalena.  Il Mantra serve anche a tramutare i diversi sentimenti come le preoccupazioni, la paura, l’ansia, l’ira, l’impazienza o i desideri e a convertirli in qualcosa di più utile.

La pratica del Mantra non richiede tanto tempo, bastano pochi minuti qua e là nell’arco della giornata, alla fine della quale si dovrebbe aver accumulato un bel po’ di tempo.

Quest’articolo è tratto dal Numero 2 di Yoga Magazine (Gennaio 2015). Se sei interessato ad acquistare le copie cartacee di Yoga Magazine, puoi visitare la sezione “Tutti i numeri“. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente ad opere umanitarie.

QUANDO SI PUO’ RECITARE UN MANTRA?

  • mentre aspettiamo
  • mentre camminiamo
  • nella routine giornaliera
  • quando siamo ammalati: spesso i malati si compiangono per la propria situazione e dal momento che l’energia  segue il pensiero, molte volte il proseguimento della malattia è dovuto al fattore psicosomatico che tende ad allungare i tempi di guarigione. Ripetendo il Mantra si calma la mente e si pensa di meno ai propri sintomi
  • mentre svolgiamo attività di tipo meccanico ripetitivo, che non richiedono la nostra totale attenzione
  • nei momenti di noia
  • di notte: ripetere il Mantra prima di addormentarsi permette al cervello di elaborarlo e continuare a ripeterlo dormendo. E’ particolarmente indicato per chi soffre di insonnia.
  • la scrittura e la recitazione del Mantra possono essere svolte quando la mente è troppo agitata e non ci si riesce a concentrare adeguatamente.

Se adesso doveste provare a recitare un Mantra con regolarità, poi abbandonare la pratica e riprenderla fra una ventina di anni, il Mantra vi salirebbe automaticamente alle labbra e continuereste a ripeterlo come se non aveste mai smesso.

Questo è un esempio del suo potere.

Attraverso la costante ripetizione, la mente viene gradualmente distolta dal costante flusso mutevole dei pensieri e, focalizzandosi su sé stessa, diviene un vero e proprio strumento di conoscenza.

 (Tratto da “Mantra. Il potere dei suoni sacri” di Amrita G. Ceravolo)

Puoi visitare anche la sezione Mantra su Yogapedia.it.

Amrita G. Ceravolo. Praticante Yoga da 20 anni, dopo aver studiato per circa dieci anni danza classica.
Ha iniziato la pratica dello Yoga studiando con la discepola diretta di Swami Kriyananda e conseguendo il diploma di Insegnante Yoga, a seguito di una formazione triennale.
Ha approfondito le tecniche di Yogaterapia con il Maestro indiano Om Anandji, conseguendo il diploma “Yogatherapy & Meditation Techniques”, e il Mantra Yoga con il Maestro tibetano Rinpoche Tashi Lama Tsering.Ha arricchito le sue conoscenze con lo studio di Yoga Nidra, un’importante tecnica meditativa orientale; Yoga Mudra; Yoga in Coppia e le due esperienze di maternità le hanno permesso di approfondire lo studio e l’applicazione dello Yoga in Gravidanza, scoprendo la sua fondamentale importanza in questo delicato momento.

E’ ora Presidente dell’Accademia Sathya Yoga, Direttore Onorario di “Paramanand Institute of Yoga Sciences & Research” (India), Direttore Onorario di “International Association of Indian Yoga” (India), membro dell’Associazione Nazionale Insegnanti Yoga e della European Yoga Federation. Ha scritto e pubblicato articoli e libri riguardanti i diversi aspetti dello Yoga, tra cui “Mantra Yoga. Il potere dei suoni”, “Yoga Nidra”, “I Mudra. La danza dello Yoga”, “Chakra e Riequilibrio Energetico”, “Yoga per la donna e Yoga Prenatal”.

Fondatrice della rivista quadrimestrale “Yoga Magazine“, edita da Om Edizioni. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente a opere umanitarie.
Da molti anni a contatto con il sociale attraverso attività rivolte a malati di Aids, bambini leucemici e ideatrice del progetto “Liberi Dentro”, grazie al quale Sathya Yoga porta gratuitamente lo Yoga e la Meditazione all’interno dell’Istituto Carcerario di Monza. Grazie queste esperienze è ora “Yoga Accessible Ambassador” per la divulgazione di progetti Yoga Accessibile, lo Yoga adattato alle esigenze di allievi con disabilità.

Mudra – La Danza dello Yoga

Il termine “Mudra” può essere tradotto come “gesto” o “sigillo”. E’ una certa posizione o atteggiamento che rispecchia la nostra psiche.
Sono speciali gesti del corpo il cui scopo è quello di ridurre la dispersione di energia vitale (Prana), favorendone l’accumulo nei centri vitali; aiutano a sviluppare la concentrazione e la Meditazione, favorendo il ritiro dei sensi.
Fin dall’inizio della vita, usiamo le mani per le nostre prime esplorazioni del mondo ed impariamo a manipolare le cose in modo creativo. La mano esprime il nostro umore in ogni piccolo gesto. Muovendo le braccia, camminando, mangiando o in qualsiasi altra attività quotidiana, noi compiamo dei gesti, guidati da stimoli mentali indotti a loro volta da idee, sentimenti o percezioni.

Grazie al potenziale mimico delle mani, noi siamo in grado di conferire ai nostri gesti solenni un’effettiva forza fisica e psichica di straordinaria intensità.
Grazie ad essi siamo in grado di rivelare in modo diretto il nostro stato. I gesti sono il modo attraverso cui il corpo raffigura simbolicamente ed esplicitamente determinate emozioni.

Così, le spalle curve rappresentano stanchezza o timidezza; la mascella contratta esprime rabbia; un portamento sciolto, invece, sicurezza e forza; uno sguardo limpido indica onestà e rettitudine…
Di solito, quando ci sentiamo poco bene, eseguiamo movimenti lenti e stanchi, al contrario, se ci troviamo in condizioni di vitalità, anche la gesticolazione si fa più vivace.

Sia che minacciamo col pugno chiuso o che apriamo le mani in atto pacificatore, che le alziamo contro il cielo a maledire, sia che sfioriamo qualcosa sensualmente, sempre, assieme alla nostra gestualità, affiora anche il nostro intimo e noi possiamo venire colti in tutta la nostra essenza.

Spesso i gesti che formiamo restano incomprensibili agli estranei: i gruppi più svariati, ad esempio di sportivi, operai, mercanti, sviluppano una loro particolarissima gestualità, valida solo al loro interno.

Ciò nonostante, un simile sistema simbolico gestuale può diventare talmente complesso da evolversi a linguaggio autonomo, come avviene ad esempio negli ordini monastici che osservano il silenzio o nel linguaggio gestuale dei sordomuti. Attraverso i suoi gesti, il corpo parla di noi, di ciò che siamo, del nostro stato d’animo e del modo in cui viviamo nel mondo, in un flusso costante di energia che va dall’interno verso l’esterno.

Quest’articolo è tratto dal Numero 1 di Yoga Magazine (Novembre 2014). Se sei interessato ad acquistare le copie cartacee di Yoga Magazine, puoi visitare la sezione “Tutti i numeri“. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente ad opere umanitarie.


Con i Mudra dello Yoga, invece, il flusso viene invertito e l’energia inizia a muoversi dall’esterno verso l’interno. I Mudra dello Yoga, contrariamente ai gesti comuni che sono indotti ed inconsci, sono coscienti, volontari e precisi.

Sono inoltre spiritualmente simbolici e significativi.

Anziché essere espressioni casuali di impulsi interiori, i Mudra ci aiutano ad essere padroni dei nostri sensi e della nostra mente.

La nostra mente è instabile, sempre fluttuante da un pensiero e all’altro, senza mai riposo.

I Maestri Yoga del passato la paragonavano ad una scimmia ubriaca, che salta da un ramo all’altro senza logica né scopo: un’immagine che riflette molto bene quel costante brusio che spesso si agita nella nostra testa. Dirigere volontariamente l’attenzione su un qualsiasi oggetto e mantenerla ferma, anche solo per pochi secondi, è un’impresa davvero molto ardua, perché molti altri pensieri subito si sovrappongono: la pratica dei Mudra ci offre una reale opportunità di superare con naturalezza questo ostacolo.

 (Tratto da ” I Mudra – La danza dello Yoga” di Amrita G. Ceravolo)

Scopri come si eseguono le principali Mudra su Yogapedia.it.

Amrita G. Ceravolo. Praticante Yoga da 20 anni, dopo aver studiato per circa dieci anni danza classica.
Ha iniziato la pratica dello Yoga studiando con la discepola diretta di Swami Kriyananda e conseguendo il diploma di Insegnante Yoga, a seguito di una formazione triennale.
Ha approfondito le tecniche di Yogaterapia con il Maestro indiano Om Anandji, conseguendo il diploma “Yogatherapy & Meditation Techniques”, e il Mantra Yoga con il Maestro tibetano Rinpoche Tashi Lama Tsering.Ha arricchito le sue conoscenze con lo studio di Yoga Nidra, un’importante tecnica meditativa orientale; Yoga Mudra; Yoga in Coppia e le due esperienze di maternità le hanno permesso di approfondire lo studio e l’applicazione dello Yoga in Gravidanza, scoprendo la sua fondamentale importanza in questo delicato momento.

E’ ora Presidente dell’Accademia Sathya Yoga, Direttore Onorario di “Paramanand Institute of Yoga Sciences & Research” (India), Direttore Onorario di “International Association of Indian Yoga” (India), membro dell’Associazione Nazionale Insegnanti Yoga e della European Yoga Federation. Ha scritto e pubblicato articoli e libri riguardanti i diversi aspetti dello Yoga, tra cui “Mantra Yoga. Il potere dei suoni”, “Yoga Nidra”, “I Mudra. La danza dello Yoga”, “Chakra e Riequilibrio Energetico”, “Yoga per la donna e Yoga Prenatal”.

Fondatrice della rivista quadrimestrale “Yoga Magazine“, edita da Om Edizioni. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente a opere umanitarie.
Da molti anni a contatto con il sociale attraverso attività rivolte a malati di Aids, bambini leucemici e ideatrice del progetto “Liberi Dentro”, grazie al quale Sathya Yoga porta gratuitamente lo Yoga e la Meditazione all’interno dell’Istituto Carcerario di Monza. Grazie queste esperienze è ora “Yoga Accessible Ambassador” per la divulgazione di progetti Yoga Accessibile, lo Yoga adattato alle esigenze di allievi con disabilità.

Sanscrito, la lingua dello Yoga

La lingua sanscrita è il veicolo con cui sono stati trasmessi sin dall’antichità gli insegnamenti dello Yoga.

Tuttora, anche in Occidente, Sanscrito e Yoga sono strettamente connessi; avrete sicuramente sentito il vostro insegnante pronunciare il nome di una posizione in sanscrito durante la lezione di yoga! Non è indispensabile imparare quest’antica lingua per praticare, tuttavia sarà naturale e spontaneo volerne comprenderne con il tempo qualche termine. Conoscere il significato delle parole aiuta a ricordarle e a coglierne gli aspetti più profondi. L’utilizzo del sanscrito rispetta l’antica tradizione con cui gli insegnamenti vennero tramandati di Guru in śiṣya, di Maestro in discepolo, di bocca in orecchio in un contesto ove la trasmissione era prevalentemente orale. Inoltre le parole sanscrite sono composte da una serie di sillabe il cui suono, o mantra, ha un effetto stimolante su determinati centri energetici, chakra, nel nostro organismo. É una lingua i cui vocaboli risuonano all’interno del nostro Essere.

L’intento di questa rubrica è di fornire attraverso delle ‘Pillole di Sanscrito’ un breve approfondimento della terminologia che avete incontrato, o incontrerete, lungo il vostro percorso yoga.

Che cosa significa Sanscrito?

La parola sanscrito, saṃskṛtam, è composta dalla radice verbale kṛ ‘fare’ al participio passato kṛtam ‘fatto’ e dal preverbio sam che indica ‘perfettamente’ o ‘compiutamente’. Quindi il termine sanscrito designa qualcosa di ‘fatto in modo perfetto’ o di ‘perfettamente compiuto’.

Da tempo immemorabile infatti il sanscrito è considerata lingua divina. Per millenni le élite colte dell’India, brahmaniche e non solo, hanno prodotto i loro tesori, attraverso questo veicolo linguistico, in tutti i campi del sapere: scienza, cultura e spiritualità. Il sanscrito è la lingua dei Veda, delle Upanishad, della Bhagavad Gita, del Mahabarata, del Ramayana, dei Purana. È la base di molte lingue indiane moderne, come il Pali, l’Hindi, il Marathi e il Punjabi. Ha influenzato altre lingue del Sud Est asiatico e addirittura del continente Europeo.

Quest’articolo è tratto dal Numero 2 di Yoga Magazine (Gennaio 2015). Se sei interessato ad acquistare le copie cartacee di Yoga Magazine, puoi visitare la sezione “Tutti i numeri“. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente ad opere umanitarie.

Pillole di Sanscrito: Yoga

Le origini dello yoga sono con molta probabilità pre-arie (compaiono allusioni a questa disciplina nei reperti archeologici della civiltà della valle dell’Indo, III – II millennio a.C.) e il termine venne utilizzato sin dall’epoca Vedica (II – I millennio a.C.).

Dal punto di vista etimologico la parola yoga deriva dalla radice  yuj, da cui il latino yugum ‘giogo’, con significato di ‘aggiogamento’, ‘disciplina’, ‘dirigere’. Come esposto nelle Upanisad viene utilizzata proprio nel senso di ‘controllo della mente e dei sensi’, sthiram indriya-dharanam.

Il termine si può tradurre anche con ‘legame’ o ‘unione’. Quest’ultima traduzione è la più popolare in Occidente, tuttavia, come afferma lo stesso prof. Antonio Rigopoulos, appare in un certo senso riduttiva. Yoga è molto di più. Yoga è l’unione in perfetto equilibrio di tutte le componenti del nostro essere: corpo, mente, spirito.

Troviamo una definizione chiara in uno dei più antichi e autorevoli testi sulla filosofia dello Yoga: gli Yoga Sutra di Patanjali. L’autore definisce yogas citta vritti nirodhah. Quattro parole che racchiudono l’essenza di cosa sia lo yoga. Yoga è una disciplina di corpo e mente volta al nirodhah, alla ‘cessazione’, di citta vritti ‘le fluttuazioni dell’intelletto’. Attraverso il disciplinare mente e corpo, il fine ultimo dello yoga è l’arrestare il vortice frenetico dell’universo mentale, conscio e inconscio, i pensieri, le emozioni, l’egoità.

Sia l’italiano che le altre lingue europee, tendenzialmente non traducono il termine, non parliamo di ‘pratica della disciplina’ o ‘pratica dell’unione’, ma semplicemente di pratica dello yoga!

Al di là di ogni interpretazione linguistica, Yoga non è una tecnica. Yoga è unicamente ed esclusivamente un’esperienza personale. Per conoscerla non si può che viverla. Ciascuno di noi attraverso le tappe del proprio percorso coglierà le molteplici sfumature e scoprirà il significato più intimo della parola Yoga.

Chiara Surpi. Si è avvicinata allo yoga 20 anni fa mentre frequentava l’Università Ca’ Foscari di Venezia presso la quale si è laureate nel 2002 in Lingue e Letterature Orientali. Ha approfondito lo studio di Religioni e Filosofie dell’India con il prof. A. Rigopoulos e dell’Asia Estremo Orientale con il prof. A. Cadonna dedicandosi in particolare alla conoscenza del taoismo e dell’alchimia interiore, pratica – simile per molti aspetti allo yoga – dalle cui basi si sviluppò la Medicina Tradizionale Cinese.

A seguito del corso triennale F.I.S.Y. (Formazione Insegnanti Sathya Yoga), ha conseguito nel 2013 il diploma riconosciuto CSEN CONI di Insegnante di Hatha e Raja Yoga (300 ore), dedicandosi subito dopo all’insegnamento di questa scienza millenaria.
Nel 2016 ha concluso un percorso formativo riconosciuto internazionalmente da Yoga Alliance (RYT 200 ore) in Prana Vinyasa ® con Andrew McAuley. Attualmente sta proseguendo il suo percorso sotto la guida diretta della Maestra Shiva Rea, yogini fondatrice di questo metodo. Il Prana Vinyasa ®, evoluzione del Vinyasa secondo il lignaggio del Maestro Krishnamacharya, è una pratica yoga dinamica profondamente radicata nell’antica tradizione indiana.  Potente e allo stesso modo accessibile a tutti, conduce con estrema naturalezza a riconoscere la propria sacra essenza.
Nel febbraio 2015 ha fondato a Pavia l’associazione Yoga Purnima della quale è Presidente e dove continua ad insegnare con gioia.

Surya Namaskara, quando è nato il Saluto al Sole?

A differenza di quanto ritenuto comunemente il famosissimo Saluto al Sole (Surya Namaskara) non ha antichissime origini ed è praticamente sicuro che ai tempi dei Veda (oltre 2.000 anni fa) nessuno lo praticasse. C’era ovviamente il culto del sole, ma non la sequenza di asana oggi eseguita in tutto il mondo.
surya namaskaraTra i pochissimi che ancora provano a sostenere tali origini antiche c’è Christopher Tompkins che si è focalizzato sulla setta proto-tantrica Pāśupata nata a partire dal II secolo. Secondo Tompkins le pratiche di circumnavigazione del linga rappresentante il “sole” Siva proprie di questa setta sarebbero da accostare al Surya Namaskara come sua vera origine storica. Egli sostiene che all’interno di queste “camminate” rituali venivano usate pose corporee riprese dalla tradizione della danza sacra indiana rintracciabili nel Nātyaśāstra, l’opera indiana più importante dedicata all’arte teatrale. È difficile però incontrare in quest’opera descrizioni che possano ricordare la sequenza del saluto al sole.

Risulta anche difficile dimostrare che Krishnamacharya, come invece pretenderebbe Tompkins, conoscesse il commento ai Pāśupata Sūtra. Anche oggi nelle montagne sacre indiane si possono vedere sadhu che seguono quei modelli di camminata probabilmente non diversi da quelli di cui sopra. Classica è la sequenza costituita dal lancio di una pietra davanti a sé, inginocchiamento ritmico, prostrazione totale del corpo, ripresa della pietra in mano, alzata, un altro passo (o pochi passi avanti) e ancora lancio della pietra, ecc. È una pratica nota con il nome di dandavat parikrama. In questa sequenza, giocando di fantasia, potrebbe essere possibile ravvisare alcuni movimenti che potrebbero far pensare ad asana del saluto al sole: in particolar modo Chaturanga Dandasana e Bhujagasana. Ma le analogie sono troppo lontane.

Gli storici dello yoga tendono a riportare le origini del Surya Namaskara all’inizio del XX secolo. Una prima testimonianza si trova nelle pubblicazioni di Bhavanarao Pant Pratinidhim (1868-1951), raja di Aundh, piccolo principato dell’India governato dai britannici che nel 1928 scrisse Surya Namaskars (Sun Adoration)  for Health, Efficiency and Longevity.

Bhavanarao era il terzo figlio e pareva non destinato a governare. A differenza, quindi, di molti principi si dedicò agli studi. Era molto interessato all’arte ed alla cultura fisica ed in particolare per quanto riguarda quest’ultima approfondì la conoscenza del wrestling e del mallakhamb (sport tradizionale indiano in cui si eseguono posture yoga aeree e prese di wrestling in concerto con un palo fisso in legno). Praticava lui stesso gli esercizi di Sandow, un tedesco considerato ai tempi l’uomo più forte d’Europa e molto famoso in India probabilmente perché ai tempi gli indiani cercavano di ricostruire una identità di popolo “muscolarmente” forte perché spesso considerati deboli dagli Inglesi. La diffusione del body building di Sandow fu permesso anche dai numerosi libri (anche fotografici) che lui pubblicò.

Non è chiaro come Pant arrivò alla definizione della sequenza del Surya Namaskara. Nella sua biografia si dice solo che: “il raja stesso svolgeva questi esercizi di devozione al sole, molto regolarmente da quando il suo collega ed amico il vecchio raja di Mirai gli consigliò di farli”.

Egli insistette dapprima che i suoi figli lo praticassero e successivamente tutti i ragazzi a scuola. Nel 1923 scrisse un libro in Marathi su tale pratica che fu poi tradotto in inglese.

Egli vedeva in questa sequenza una alternativa tipicamente indiana agli stili ginnici di matrice europea. Il Surya Namaskara veniva visto come esercizio per l’allungamento e il rafforzamento dei muscoli e delle articolazioni, una pratica che servisse a lavorare sul corpo nel suo complesso e dunque il saluto al sole veniva considerato come pratica prettamente salutistica.

Nel 1927 spiegò al “Times  of India” i benefici di questa pratica: “La grande particolarità ed importanza della pratica del Namaskara consiste nel fatto di poter essere eseguito in qualsiasi ora, in qualsiasi stagione, a tutte le età e sia da uomini che donne” (quest’ultimo è senz’altro un elemento di grande modernità visto quanto poco lo yoga fosse pensato per le donne. Pensate a quanto faticò Indra Devi, donna e pure occidentale, a farsi accettare come allieva da Krishnamacharya).

Il raja considerata la grande importanza che attribuiva alla pratica decise di portarla all’estero. Egli fece girare un piccolo filmato e lo diffuse in tutti i paesi che visitò. Quando arrivò in Inghilterra una giornalista (Louise Morgan) ne fu così affascinata da scrivere una serie di sei articoli per il News Chronicle, famoso quotidiano dei tempi. Gli articoli erano corredati da fotografie dello stesso “inventore” della pratica e di uno studente di Oxford.

L’interesse che queste pubblicazioni suscitarono lo portarono nel 1938 a scrivere il libro “The Ten-Point Way to Health. Surya Namaskars”.

Anche il figlio di Pant Pratinidhim, Apa, che intraprese la carriera del diplomatico quando Aundh ritornò in mano al governo indiano, scrisse nel 1970 un’operetta sul Sūrya Namaskāra:  “Surya Namaskar, an Ancient Indian Exercise”.

Tutti questi trattati sul saluto al sole difficilmente parlano di Yoga e questo fa capire come le due pratiche non fossero considerate correlate.

Nel bellissimo libro “The Yoga Body”, Mark Singleton afferma che il Sūryanamaskāra sia stato inventato proprio da Patinidhi Pant, nonostante il Rāja più volte affermi nel suo testo, secondo un modello espositivo tipicamente induista, che non si tratti di una sua invenzione, bensì di una tradizione di antica origine marathi. Tuttavia, come ben sottolinea Singleton, non esiste alcuna prova testuale esplicita che la sequenza Sūryanamaskāra sia stata praticata prima del XX secolo.

Successivamente a tali pubblicazioni la notorietà di questa sequenza continuò a crescere soprattutto a Mysore, grazie a Krishnamacharya.

All’inizio degli anni ’30, Krishnamacharya aveva assegnato ad un altro insegnante (suo allievo) una classe di di preparazione fisica allo yoga in cui veniva praticato il Surya Namaskara, oltre a forme di allenamento di estrazione occidentale (non molto yogiche, quindi). Successivamente tale classe di allenamento fu fusa con quella seguita direttamente dal famoso maestro indiano e questo induce a ritenere  che il saluto al sole non fosse ritenuta una sequenza di asana, ma di movimenti preparatori allo Yoga vero e proprio.

Krishnamacharya presentò il Surya Namaskara nello Yoga Makaranda, scritto nel 1934 (quindi alcuni anni dopo Pant Pratinidhim). Sembra certo che Krishnamacharya fosse stato influenzato nella messa a punto del suo stile dalla tradizione ginnico-marziale praticata nella casa reale di Mysore, dall’addestramento militare britannico (pare quasi incredibile che qualcosa di militare ed occidentale sia presente nello yoga che oggi noi pratichiamo) e, ovviamente, dalla pratica spirituale: è ovviamente l’enfasi sul respiro e sulla devozione che distinse il suo insegnamento dello yoga da una dimensione puramente atletica insieme alla componente “vinyasa” ossia di collegamento dei vari asana in una dinamica fluida.

Allievi di Krishnamacharya divenuti a loro volta maestri sono stati fondamentali nella strutturazione di larga parte della storia dello yoga moderno: basti pensare a Pattabhi Jois, fondatore dell’Asthanga Yoga o a B.K.S. Iyengar, fondatore dello Iyengar Yoga, o a Indra Devi. Questi (e altri) maestri hanno continuato a insegnare il Sūrya Namaskāra a migliaia di allievi di tutte le nazionalità. Tra i più importanti “divulgatori” del Surya Namaskara negli USA (ed in particolare in California, dove già pochi anni prima aveva insegnato anche Pattabhi Jois) si ricordano l’insegnante di Ashtanga Yoga, Tim Miller, e l’insegnante di Iyengar Yoga, Roger Cole.

E così il saluto al sole è diventato uno dei pilastri della pratica attuale dello yoga anche se nato come separato dallo stesso sebbene nella stessa patria e respirando la medesima aria. Studiando si può comprendere sempre di più come il “nostro” concetto di Yoga (per quanto spesso definito tradizionale da maestri ed insegnanti di vario tipo) sia molto lontano e distante da quello che l’India ha sempre definito Yoga (basti vedere la scarsa importanza data alle asana da Patanjali, ma anche da Vivekananda che portò lo Yoga in occidente alla fine del XIX secolo).

Questo Articolo è tratto dal blog Savitri Magazine di Massimo Mannarelli e Sibilla Vecchiarino, che si ringraziano per il prezioso contributo.

Sibilla Vecchiarino. Praticante di Yoga da circa 20 anni e insegnante (certificata CONI) dal 2014. Ha studiato e conseguito il proprio diploma di insegnante presso Sathya Yoga di Monza, scuola di Amrita Ceravolo. Ha altresì diploma di insegnante dei 7 Riti Tibetani conseguito con la Maestra Silvia Salvarani.

Ha tenuto corsi in vari centri del milanese e oggi insegna a Milano presso La Voce del Corpo. Tiene seminari con il marito Massimo Mannarelli con cui ha approfondito e studiato il collegamento tra Yoga e preghiera islamica e Sufismo.

Collabora fin dalla sua nascita con la testata dedicata allo Yoga “Yoga Magazine“. Insieme al marito scrive sul blog Savitri Magazine, diario del percorso di conoscenza e del cammino spirituale dei suoi fondatori. Ha viaggiato in Iran e India dove ha conosciuto luoghi sacri di diverse tradizioni e ne ha approfondito lo studio.

Yoga dei 5 Elementi (Tatwa)

Attraverso la pratica dello Yoga puoi integrare nella vita quotidiana la comprensione dei 5 elementi (terra, acqua, fuoco, aria, etere) che sono la base della pratica e del cammino spirituale della persona.

Gli elementi sono tutto ciò che è manifesto in natura e nello spazio a noi visibile (maya) possiamo praticare con essi ovunque siamo ed in qualsiasi situazione; lo studio delle loro interazioni può cambiare la prospettiva sui rapporti che stabiliamo con il mondo naturale e nelle relazioni ed esperienze personali, allargando le nostre visioni, fortificando la salute e dandoci un concreto sostegno per le pratiche di yoga e meditazione.

Gli elementi sono infatti anche simboli psicologici importanti e racchiudono la potenza e le possibilità della mente, le strutture del comportamento umano, semi di carattere e di personalità oltre che rappresentazione materiale della struttura della persona.

Gli elementi “grossolani”terra, acqua, fuoco, aria e spazio/etere – sono la base principale con il quale lavora lo sciamanesimo, rapportandosi con la natura per accedere alla dimensione sacra dell’esistenza. Ogni elemento vibra una sua frequenza e corrisponde ad uno stato psichico diverso. Ogni elemento corrisponde ai primi 5 chakra o plessi nervosi del corpo e rappresenta la struttura fisica dell’uomo.

A livello “sottile”, lo yoga tantrico lavora con questi stessi elementi che si incontrano nella dimensione energetica dell’individuo, riconoscendo l’energia come forza divina. Sono energie che si manifestano attraverso suoni, vibrazioni, pensieri, scelte di vita, comportamenti. Sono ovviamente collegate ai nostri 5 organi di senso indispensabile nella pratica dello yoga e indispensabili per discernere e conoscere il mondo attraverso l’esperienza fisica.

Significa lavorare sul terreno dell’esperienza fisica mettendosi in contatto con lo spirito. Siamo puro spirito che cerca di apprendere attraverso l’esperienza fisica con i 5 elementi, e i 5 organi di senso.

L’esperienza ci dice che i cinque elementi includono tutto, non vi è separazione, ogni elemento è in relazione con gli altri, nel macrocosmo della natura, esattamente come nel microcosmo del corpo e della mente.

Macrocosmo e microcosmo sono l’uno il riflesso dell’altro. Non c’è dentro senza un fuori. Ciò che è dentro è fuori, ciò che è in basso è anche in alto. Ciò che è terra contiene acqua, l’acqua contiene l’aria, l’aria è sollevata dal calore del fuoco che trasforma, l’etere trasmette e amplifica connettendolo in modo invisibile.

Lo yoga tantrico come il Kundalini, offre una visione perfetta di questo microcosmo, e l’opportunità di conoscere empiricamente, attraverso l’esperienza diretta, le energie vitali presenti in noi.

Attraverso asana e kriya, pranayama, mudra, mantra e dhristi e yantra, lavori sui 5 elementi per espandere la coscienza, per controllare la mente e connettersi con il sé superiore.

È nell’esperienza fisica che il sentiero spirituale si rivela. Praticando forse qualcosa accade.

Quel che accade, è percezione del praticante perché accede ad uno spazio sacro, di cui raramente vorrà parlarvi. Quando avviene la connessione, ed entri in uno stato di Cherdi kala (beatitudine) la serenità e la pace inonderanno ogni tua cellula, donandoti uno stato psichico di elevazione e gioia.

Lo yoga tantrico ti porta all’autoaccettazione e auto conoscenza attraverso lo studio, il riconoscimento e lo sviluppo delle facoltà psichiche e fisiche legate ai 5 elementi.

Sat nam ji

Carolina Paoletti (Amar Devi Kaur).

Insegnante Kundalini Yoga con diploma KRI presso la scuola Akhara di Guru Shabad de Santis (guardia del corpo del maestro Yogi Bhajan), 3HO, Certificazione Ikyta International, Csen Yoga Alliance.

Inoltre è Brain Longevity Specialist® e creatrice e unica titolare del marchio Kundalini Flow Method ®, Gong therapist. Tramanda la millenaria conoscenza sacra del Kundalini Yoga unendo i suoi studi di Teosofia, Psicosomatica e Psicologia, Neurotraining, Mantra Yoga  Gong e Numerologia promuovendo un approccio concreto ed efficace di Yoga.

Lo studio degli elementi, della numerologia, dei corpi sottili, dei poteri psichici, la meditazione trascendentale e della mente sono atti a portarci ad un alto stato di consapevolezza, espansione e prosperità. E raggiungere l’esperienza dell’infinito.

E’ stata ospite al Festival dell’Oriente con Masterclass di Kundalini Yoga e Meditazione.