Il benessere con lo Shiatsu, ricetta per la longevità

Lo Shiatsu, diffuso in Giappone sin dal VI secolo, è una pratica manuale manipolatoria che stimola nel ricevente un processo di auto guarigione. Shiatsu letteralmente significa “pressione” (atsu), che viene effettuata con le dita (shi), le mani, i gomiti e le ginocchia su determinati punti (tsubo) per riequilibrare l’energia (ki) lungo i meridiani. La tecnica del massaggio si basa sulla concezione energetica che è anche tipica della medicina cinese tradizionale. In pratica, un individuo può accusare uno stato di malessere in una zona jitsu dov’è un eccesso di ki, o in una zona kyo dove invece l’energia è carente. Dal jitsu si individua il sintomo la cui causa risiede nel kyo. Il massaggio Shiatsu procede sempre sul doppio binario kyo-jitsu, del pieno e del vuoto, perché risolvere un malessere non vuol dire solo agire localmente, bensì intervenire sull’unità psicofisica del paziente.

massaggio shiatsuPer Gianpiero Brusasco (fonte: Ansa) operatore Fisieo (Federazione Italiana Shiatsu Insegnanti e Operatori), che si occupa di Shiatsu e gravidanza, può “aiutare le mamme a stabilire un legame con il bimbo che portano in grembo, e a superare la paura del parto”, facilitando in parte l’induzione tanto che in alcune città vengono organizzati anche dei corsi per le ostetriche. Aiuta anche contro la depressione post parto, per l’allattamento, e può essere praticato anche sul bimbo: il trattamento dura meno, spesso dai 5 ai 25 minuti, e gli allungamenti sono utili per favorire lo sviluppo fisico del piccolo, facilitandone i movimenti nei diversi stadi di crescita. Oltre che a poter essere praticato sia da ragazzi che da adulti, sembra essere anche parte di una ricetta per la longevità. Quella dello shiatsu è una ‘spinta gentile’ che come spiega Renato Zaffina, presidente della Fisieo, “aiuta non solo ad allungare la vita ma ad ‘allargarla’”.

Di come questa pratica sia amica della longevità e della salute nel suo complesso si parlerà alla Settimana nazionale dello Shiatsu, organizzata proprio dalla Fisieo e giunta all’ottava edizione, in programma in tutta Italia dal 18 al 25 settembre, dal titolo “Shiatsu e pratiche di lunga vita”. Con studi aperti ed eventi (per informazioni www.fisieo.it). Secondo la Fisieo è riconosciuto, guardando anche alla longevità in Giappone, che molti strumenti per mantenere una vita duratura e sana, attingono da antiche tradizioni. Fra queste, lo Shiatsu, che si basa su una visione di salutogenesi: non si focalizza sulle patologie, si occupa della persona nel suo insieme psicofisico. “Avvicinarsi allo shiatsu – aggiunge Zaffina – può servire per migliorare la capacità di gestire le emozioni e le risorse interne”. Tra le discipline del benessere lo Shiatsu è il rimedio antistress preferito dagli italiani. Quasi un milione e mezzo hanno provato lo Shiatsu e circa 600 mila ne fanno uso abitualmente. Anche nella terza età si può iniziare, e i benefici si possono ottenere con patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer e in generale le demenze o il Parkinson. Come dimostra ad esempio un progetto portato avanti qualche anno fa e che si vuole riproporre in Calabria con Anaste (Associazione nazionale strutture terza età).

È stato fatto un duplice lavoro: con il personale sanitario e con gli anziani, che hanno mostrato di rispondere molto bene. Il massaggiatore lavora sui meridiani, lungo i quali scorre il ki. Ci si basa sui meridiani dell’agopuntura che sono 12. L’energia si manifesta nei 5 elementi (fuoco, terra, acqua, metallo, legno) e a ognuno di essi è associato un organo. A ogni elemento corrispondono 2 meridiani, uno yin e uno yang; solo al fuoco ne corrispondono 4. I meridiani sono bilaterali quindi sono 24 in tutto. Se il massaggiatore preme il meridiano in un punto, verrà stimolata quella particolare zona, ma anche tutto ciò che si trova lungo quel meridiano. Le due manovre principali eseguite sono la pressione e lo stiramento praticate con mani, gomiti, ginocchia e piedi. Il massaggiatore deve rimanere sempre molto rilassato mentre imprime una pressione, perché deve trarre forza direttamente dal suo hara. La durata di una pressione varia di 5 ai 7 secondi, intorno al collo mai più di 3 secondi. Una seduta di massaggio Shiatsu solitamente dura circa un’ora.

L’antica pratica orientale si diffonde in  Europa all’inizio degli anni settanta, quando trova un ambiente particolarmente favorevole alla propria diffusione ed al proprio sviluppo, come “terapia alternativa” in risposta alla crescente domanda di salute ed alla difficoltà a fornire risposte della medicina istituzionale. Per alcuni anni i praticanti sono poche centinaia; i primi corsi si svolgono in forma amatoriale e disorganizzata. Nel 1997 la Commissione europea lo ha elencato come uno degli otto metodi di medicina complementare (risoluzione dell’Unione europea del 29 maggio 1997 sullo status della medicina non convenzionale); gli altri elencati erano la chiropratica, l’omeopatia, la medicina antroposofica, la medicina tradizionale cinese (compresa l’agopuntura), la naturopatia, l’osteopatia e la fitoterapia.

La seduta

Il massaggiatore lavora sui meridiani, lungo i quali scorre il ki. Ci si basa sui meridiani dell’agopuntura che sono 12. L’energia si manifesta nei 5 elementi (fuoco, terra, acqua, metallo, legno) e a ognuno di essi è associato un organo.

A ogni elemento corrispondono 2 meridiani, uno yin e uno yang; solo al fuoco ne corrispondono 4. I meridiani sono bilaterali quindi sono 24 in tutto. Se il massaggiatore preme il meridiano in un punto, verrà stimolata quella particolare zona, ma anche tutto ciò che si trova lungo quel meridiano.

Le due manovre principali eseguite sono la pressione e lo stiramento praticate con mani, gomiti, ginocchia e piedi. Il massaggiatore deve rimanere sempre molto rilassato mentre imprime una pressione, perché deve trarre forza direttamente dal suo hara.

La durata di una pressione varia di 5 ai 7 secondi, intorno al collo mai più di 3 secondi. Una seduta di massaggio Shiatsu solitamente dura circa un’ora.

Ci teniamo a precisare che una seduta di shiatsu varia molto a seconda di chi la esegue perché le mani dell’operatore shiatsu si muovono a seconda di quello che sente e di ciò che il corpo del ricevente gli comunica, delle risposte che arrivano dalla persona insieme a cui sta lavorando.

Marco Staffiero, il cui nome spirituale è Ardas Sadhana Singh, è insegnante certificato di Kundalini Yoga con diploma è riconosciuto a livello internazionale dal KRI (Kundalini Research Institute) e dall’IKYTA (International Kundalini Yoga Teacher Associations) e a livello nazionale dalla UISP – Area Discipline Orientali. Ha seguito il corso di formazione insegnanti con Guru Shabad De Santis, il primo insegnante di Kundalini Yoga in Italia, presso il centro Yogi Bhajan Akhara, a Roma. Inoltre, insegna Yoga ai bambini. E’ stato formato dall’insegnante Gurudass Kaur, cofondatrice del primo centro di Kundalini Yoga a Barcellona e fondatrice di un programma di Yoga per bambini chiamato “Chilplay Yoga, The Yoga of Fun”.Nel corso degli ultimi anni ha rivolto grande attenzione verso le discipline olistiche e le medicine alternative, la sana alimentazione e il benessere psico-fisico. Ha una laurea in Scienze Politiche – Relazioni Internazionali e dal 2009 è iscritto all’ordine dei giornalisti del Lazio.Approfondisce come giornalista e studioso diverse tematiche, che riguardano anche i fenomeni dello stress e dell’ansia nel nostro tempo. Attualmente insegna Kundalini Yoga e collabora come giornalista con “Il Giornale dello Yoga” e “Yoga Magazine”. Con “L’osservatore d’Italia” e IlFormat info.; si occupa di elettrosmog e malattie ambientali. Inoltre, è responsabile della rubrica Benessere e Salute del quotidiano on line “Il Mamilio”.

Come costruire una sequenza

Cosa imparano gli allievi che decidono di frequentare un corso per diventare insegnanti di yoga? Tante, tantissime cose, tanta teoria, tanta pratica, e tra queste c’è anche una parte dedicata alla costruzione di una sequenza.
Eh già, perché le posizioni che vengono proposte dai maestri non sono messe a caso, sono un vero e proprio percorso. Ogni āsana deve stare al suo posto, c’è un inizio e una fine: è un cammino, e questo vale anche per l’Ashtanga Yoga e il metodo Sivananda con la sua Serie Rishikesh, due stili che hanno delle sequenze ben precise che sono sempre uguali, con piccole variazioni.

Ecco qualche suggerimento per costruire una sequenza se volete praticare a casa da soli:

Solitamente è sempre bene iniziare da Shavasana. Ci vuole tempo per sconnettersi dal mondo, se poi si è appena usciti dal lavoro, è bene prendersi qualche minuto per rilassarsi e portare l’attenzione al nostro corpo, al nostro respiro.

Si può proseguire sdraiati a terra con posizioni molto semplici. Si possono piegare le gambe mantenendo le piante dei piedi a terra, per poi salire con la testa e le spalle e portare le braccia avanti e le mani tra le cosce, compiendo una profonda espirazione, ripetendo per quattro, cinque volte. Poi, per esempio, sarebbe bene sedersi a gambe incrociate e inserire un pranayama o un kriya come Kapalabhati, per ripulire i nostri polmoni, purificarci, ampliare la capacità respiratoria e prepararci alla pratica.

Dopo questa fase si possono inserire degli allungamenti molto semplici ai lati, magari restando ancora a gambe incrociate, oppure alzandosi in piedi, partendo da Tadasana.
Poi si possono eseguire posizioni per migliorare la resistenza muscolare e l’equilibrio, come Garudasana, Vrikshasana, Virabhadrasana, Trikonasana o simili, per poi proseguire a terra, partendo da Virasana, e praticare Pashimottanasana, Ushtrasana o altro, posizioni avanzate che si possono considerare il vertice della sequenza.

Padahastasana, Pashimottanasana, Ardha Matsyendrasana

Una cosa fondamentale è ricordarsi sempre delle controposizioni. Per esempio, se pratico Padahastasana, quando torno nella posizione eretta in Tadasana, sarà bene eseguire una breve estensione indietro, per compensare la precedente chiusura, o viceversa.

Dopo aver eseguito āsana intense e che hanno richiesto un forte allungamento, come Pashimottanasana, è consigliabile praticare una torsione, che potrebbe essere Ardha Matsyendrasana. Se poi lavoriamo sull’allungamento degli ischiocrurali, è bene ricordarsi di lavorare anche sull’allungamento dei quadricipiti.

Si tratta di un vero e proprio lavoro di riequilibrio del nostro corpo, oltre che mentale.

Al termine della pratica si possono eseguire delle posizioni di ritorno e di rilassamento, come Ananda Balasana, da tenere a lungo, per poi concludere sempre come si era iniziato, in Shavasana; chi preferisce ed è già più esperto, può sedersi a gambe incrociate, per prepararsi alla meditazione finale.

Una pratica deve sempre durare all’incirca un’ora, un’ora e mezza ma non dimentichiamoci che possiamo praticare anche soltanto per dieci minuti se non abbiamo tempo, l’importante è seguire questo principio di costruzione di una sequenza e mantenere ogni posizione per almeno un minuto, cioè per una decina di respiri (questo per quanto riguarda stili di yoga non dinamici).

Saluto al Sole classico

Se pratichiamo di giorno, possiamo introdurre il Saluto al Sole, posizioni più avanzate e di estensione come Ushtrasana, se invece pratichiamo la sera dopo il tramonto, è bene eseguire posizioni più rilassanti e di chiusura, come Pashimottanasana o Padahastasana, per rallentare il battito cardiaco e agevolare il riposo notturno.

Tutte le posizioni che pratichiamo hanno uno scopo ben preciso, che è quello di imparare a stare comodi e seduti a lungo a gambe incrociate o in Padmasana (la Posizione del Loto) per meditare.

Perché non dimentichiamoci che lo yoga senza la meditazione (e la corretta respirazione oltre che la presenza mentale – ndr) non è altro che pilates.

Buona pratica a tutti!

Dejanira Bada, scrittrice, giornalista dal 2008, istruttrice mindfulness e insegnante di yoga (500 RYT) è nata a Jesi (AN) nel 1984 e vive e lavora a Milano. E’ la fondatrice del progetto MindfulnessWave.
Da maggio 2017 a ottobre 2018 ha scritto per il sito Il Giornale dello Yoga. Dal 2019 collabora saltuariamente con la rivista Yoga Magazine e il sito Yoga Pills.

Stretch Your Soul

Vinyasa per l’Ileo-psoas, detto anche “muscolo dell’anima”
Sequenza di Janine Claudia Nizza (Yoga Flow)

NOTA: All’interno di questo “Flow” potete inserire un riscaldamento con 5 saluti al sole (A e B) usando sempre la respirazione Ujjiay (dall’inizio alla fine) e seguendo la numerazione dei Vinyasa di “Stretch Your Soul” posti sotto ogni transizione o Asana nelle didascalie.

Le nostre risorse spirituali risiedono anche nel corpo e possiamo attingervi attraverso lo Yoga; il muscolo Ileo-psoas strettamente e profondamente connesso non solo in modo funzionale alla nostra vita, è l’argomento di questo Vinyasa attraverso il quale si può praticare l’ascolto e l’allungamento dei suoi profondi limbi dalle inserzioni toraciche e del bacino. In queste aree i Chakra più legati alle emozioni ed alla personalità concorrono allo sviluppo o meno di un sano rapporto con i centri Manipura, Swadistana e Muladhara.

Molto spesso le notizie che i media ci rivolgono sono negative e ci fanno sentire alienati, divisi. Allora il nostro corpo assorbe tutto come una garza, comprese  la paura e la sofferenza che percepiamo in noi e negli altri. Pensiamo di non poter far nulla per cambiare il male in bene, ma la nostra pratica quotidiana di yoga può gradualmente farci ritrovare la “voce dell’Anima” che ci incoraggia e che ci dà la forza di aiutare non solo noi stessi ma anche gli altri!

Sei seriamente interessato al metodo Yoga Flow? Non perdere l’opportunità di partecipare al prossimo Teacher Training.

Questa non è soltanto un’Era caotica ma anche un’Era piena di possibilità. L’energia vitale chiamata Kundalini (che lo yoga ci insegna a risvegliare attraverso l’attenzione al respiro) è “dentro” di noi ed è proprio per questo che ogni giorno possiamo trasformare la sofferenza in gioia e la malattia in guarigione partendo dalla nostra pratica. A volte durante la nostra pratica sentiamo che inspiegabilmente qualche parte di Asana che ci riusciva benissimo non viene più come prima.
Non sappiamo spiegarci da cosa dipenda, ci sentiamo soli di fronte a mille domande… che cosa sta accadendo? La verità è che lo Yoga praticato regolarmente porta in superficie anche i traumi del passato e li manifesta a suo modo attraverso il corpo: ferite inconsce che il nostro Ego ha sotterrato per non soffrire, riemergono quando la nostra consapevolezza riprende a svilupparsi.

Ricordiamo che oltre a  stabilizzare la colonna per camminare e per stare seduti l’Ileo-psoas ci consente di ”non  pensare:” agisce e basta grazie alla ripetizione dei nostri movimenti per esistere. Quindi è un muscolo “intelligente”, sensibile ai nostri stati d’animo e respiratori!

L’Ileo-psoas (una combinazione di due muscoli che hanno inserzione nella 12esima vertebra toracica e nella cresta iliaca) si lega visceralmente al nostro essere funzionale ed esistenziale. L’Ileo-psoas è profondamente connesso con le nostre emozioni e con il nostro “vero Sè”; in questa sequenza troverete non solo sollievo dall’irrigimento che percepite nella stazione eretta o quando camminate, ma anche la flessibilità e la fluidità che da questa deriva se praticata regolarmente!

Cercate letteralmente di “espandervi” nel ciclo completo dell’Albero Respiratorio che ossigena il vostro corpo in fase inspiratoria  ed elimina l’anidride carbonica in fase espiratoria.

Ricordate è molto importante durante la sequenza essere consapevoli del “reclutamento” ovvero la corrispondenza sinergica della pressione delle mani e dei piedi nella terra per attivare i muscoli pelvici e addominali, Uddiyanabandha e Mulabandha.
Iniziate con il lato destro e a fine sequenza continuate con il lato sinistro (ripetendo due volte per lato sentirete nel terzo e quarto Vinyasa una piacevole sensazione di apertura e allenamento nei muscoli del bacino e del torace) e finite con la posizione di Padmasana e poi di relax a terra in Shavasana.

Dedichiamo al termine della pratica gli  Om finali alla Pace:
Om Shantih Shantih Shantih OM!
Credits: Foto by Glauco Dattini

Janine Claudia Nizza.
Insegnante Vinyasa Yoga Flow dal 2002.
Expert Registered Yoga Teacher 500 Plus Yoga Alliance International.
Docente e autrice del TTC Vinyasa Yoga Flow 250 Online 2020/21 per la scuola di formazione HaraBenessere.
Docente del Corso Vinyasa Yoga Flow per FAO Staff Coop.

Autrice di numerosi articoli per: Vivere lo Yoga, Yoga Journal Italia, Yoga Magazine e Yoga Pills.
Info: www.yogaflow.it

Sanscrito, la lingua dello Yoga

La lingua sanscrita è il veicolo con cui sono stati trasmessi sin dall’antichità gli insegnamenti dello Yoga.

Tuttora, anche in Occidente, Sanscrito e Yoga sono strettamente connessi; avrete sicuramente sentito il vostro insegnante pronunciare il nome di una posizione in sanscrito durante la lezione di yoga! Non è indispensabile imparare quest’antica lingua per praticare, tuttavia sarà naturale e spontaneo volerne comprenderne con il tempo qualche termine. Conoscere il significato delle parole aiuta a ricordarle e a coglierne gli aspetti più profondi. L’utilizzo del sanscrito rispetta l’antica tradizione con cui gli insegnamenti vennero tramandati di Guru in śiṣya, di Maestro in discepolo, di bocca in orecchio in un contesto ove la trasmissione era prevalentemente orale. Inoltre le parole sanscrite sono composte da una serie di sillabe il cui suono, o mantra, ha un effetto stimolante su determinati centri energetici, chakra, nel nostro organismo. É una lingua i cui vocaboli risuonano all’interno del nostro Essere.

L’intento di questa rubrica è di fornire attraverso delle ‘Pillole di Sanscrito’ un breve approfondimento della terminologia che avete incontrato, o incontrerete, lungo il vostro percorso yoga.

Che cosa significa Sanscrito?

La parola sanscrito, saṃskṛtam, è composta dalla radice verbale kṛ ‘fare’ al participio passato kṛtam ‘fatto’ e dal preverbio sam che indica ‘perfettamente’ o ‘compiutamente’. Quindi il termine sanscrito designa qualcosa di ‘fatto in modo perfetto’ o di ‘perfettamente compiuto’.

Da tempo immemorabile infatti il sanscrito è considerata lingua divina. Per millenni le élite colte dell’India, brahmaniche e non solo, hanno prodotto i loro tesori, attraverso questo veicolo linguistico, in tutti i campi del sapere: scienza, cultura e spiritualità. Il sanscrito è la lingua dei Veda, delle Upanishad, della Bhagavad Gita, del Mahabarata, del Ramayana, dei Purana. È la base di molte lingue indiane moderne, come il Pali, l’Hindi, il Marathi e il Punjabi. Ha influenzato altre lingue del Sud Est asiatico e addirittura del continente Europeo.

Quest’articolo è tratto dal Numero 2 di Yoga Magazine (Gennaio 2015). Se sei interessato ad acquistare le copie cartacee di Yoga Magazine, puoi visitare la sezione “Tutti i numeri“. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente ad opere umanitarie.

Pillole di Sanscrito: Yoga

Le origini dello yoga sono con molta probabilità pre-arie (compaiono allusioni a questa disciplina nei reperti archeologici della civiltà della valle dell’Indo, III – II millennio a.C.) e il termine venne utilizzato sin dall’epoca Vedica (II – I millennio a.C.).

Dal punto di vista etimologico la parola yoga deriva dalla radice  yuj, da cui il latino yugum ‘giogo’, con significato di ‘aggiogamento’, ‘disciplina’, ‘dirigere’. Come esposto nelle Upanisad viene utilizzata proprio nel senso di ‘controllo della mente e dei sensi’, sthiram indriya-dharanam.

Il termine si può tradurre anche con ‘legame’ o ‘unione’. Quest’ultima traduzione è la più popolare in Occidente, tuttavia, come afferma lo stesso prof. Antonio Rigopoulos, appare in un certo senso riduttiva. Yoga è molto di più. Yoga è l’unione in perfetto equilibrio di tutte le componenti del nostro essere: corpo, mente, spirito.

Troviamo una definizione chiara in uno dei più antichi e autorevoli testi sulla filosofia dello Yoga: gli Yoga Sutra di Patanjali. L’autore definisce yogas citta vritti nirodhah. Quattro parole che racchiudono l’essenza di cosa sia lo yoga. Yoga è una disciplina di corpo e mente volta al nirodhah, alla ‘cessazione’, di citta vritti ‘le fluttuazioni dell’intelletto’. Attraverso il disciplinare mente e corpo, il fine ultimo dello yoga è l’arrestare il vortice frenetico dell’universo mentale, conscio e inconscio, i pensieri, le emozioni, l’egoità.

Sia l’italiano che le altre lingue europee, tendenzialmente non traducono il termine, non parliamo di ‘pratica della disciplina’ o ‘pratica dell’unione’, ma semplicemente di pratica dello yoga!

Al di là di ogni interpretazione linguistica, Yoga non è una tecnica. Yoga è unicamente ed esclusivamente un’esperienza personale. Per conoscerla non si può che viverla. Ciascuno di noi attraverso le tappe del proprio percorso coglierà le molteplici sfumature e scoprirà il significato più intimo della parola Yoga.

Chiara Surpi. Si è avvicinata allo yoga 20 anni fa mentre frequentava l’Università Ca’ Foscari di Venezia presso la quale si è laureate nel 2002 in Lingue e Letterature Orientali. Ha approfondito lo studio di Religioni e Filosofie dell’India con il prof. A. Rigopoulos e dell’Asia Estremo Orientale con il prof. A. Cadonna dedicandosi in particolare alla conoscenza del taoismo e dell’alchimia interiore, pratica – simile per molti aspetti allo yoga – dalle cui basi si sviluppò la Medicina Tradizionale Cinese.

A seguito del corso triennale F.I.S.Y. (Formazione Insegnanti Sathya Yoga), ha conseguito nel 2013 il diploma riconosciuto CSEN CONI di Insegnante di Hatha e Raja Yoga (300 ore), dedicandosi subito dopo all’insegnamento di questa scienza millenaria.
Nel 2016 ha concluso un percorso formativo riconosciuto internazionalmente da Yoga Alliance (RYT 200 ore) in Prana Vinyasa ® con Andrew McAuley. Attualmente sta proseguendo il suo percorso sotto la guida diretta della Maestra Shiva Rea, yogini fondatrice di questo metodo. Il Prana Vinyasa ®, evoluzione del Vinyasa secondo il lignaggio del Maestro Krishnamacharya, è una pratica yoga dinamica profondamente radicata nell’antica tradizione indiana.  Potente e allo stesso modo accessibile a tutti, conduce con estrema naturalezza a riconoscere la propria sacra essenza.
Nel febbraio 2015 ha fondato a Pavia l’associazione Yoga Purnima della quale è Presidente e dove continua ad insegnare con gioia.

Mantra – Il potere dei sacri suoni

Fin dai tempi più remote la musica è sempre stata un mezzo molto potente per il risveglio della Coscienza Spirituale, per non parlare del suo valore nel liberare le tensioni emozionali ed indurre uno stato profonda tranquillità e rilassamento.
Esistono tipi di musica che possono stimolare il corpo, la mente, le sensazioni e le emozioni. E’ stato dimostrato che i differenti stati della personalità umana possono essere influenzati dalle vibrazioni sonore contenute in una melodia.

Le vibrazioni possono modificare la mente, cambiare le condizioni fisiche, rivitalizzare le cellule del corpo e le aree sconosciute della mente.
Ogni suono è vibrazione, ogni parola pronunciata produce vibrazioni.
Ogni parola crea una serie di immagini nella mente di colui che la ascolta e la percepisce.

I Mantra sono combinazioni precise di parole e suoni; suoni carichi di energia, di potenza ed hanno la capacità di evocare la Divinità (l’Energia) alla quale si riferiscono.
Non dobbiamo confondere i Mantra con le Preghiere: queste ultime, infatti, sono formate da parole di supplica scelte appositamente dal devoto per chiedere qualcosa.
Con il Mantra, invece, cerchiamo semplicemente di avvicinarci al Divino.
Questo richiede sforzo e costanza nella pratica e dobbiamo ricordare che noi stessi siamo gli unici artefici del nostro sviluppo e della nostra crescita.

Poiché la mente è fortemente influenzata dalle percezioni sensoriali ed è sempre concentrata su ciò che succede intorno al corpo o al corpo stesso, può essere d’aiuto partire proprio dal controllo del corpo. Rilassando il corpo, infatti, si può riuscire a calmare le agitazioni della mente. Giusti esercizi corporei, un giusto sonno, una sana alimentazione e una corretta respirazione, aiutano a placare la mente.

Curare i nostro corpo è utile, poiché se il corpo è debole e sottoposto a stress, la mente diverrà distratta e confusa, sarà così impossibile concentrarsi in maniera corretta. Sicuramente una mente rilassata porta beneficio al corpo, ma è altrettanto vero che un corpo sano porta ad avere una mente meno agitata.

Il Mantra è un insieme di suoni che riescono ad interiorizzare la mente e agiscono con le loro frequenze anche sul piano fisico. Il Mantra può essere ripetuto molte volte aiutati dal mala (una sorta di rosario) in maniera udibile, sottovoce o solo mentalmente, risvegliando, tramite la pratica costante, gli immensi poteri che l’uomo ha in sé e che ancora non conosce.

La parola Mantra è formata da due particelle: “Man” significa mente e “Tri” significa attraverso. Il Mantra serve per attraversare il mare della mente. Questa similitudine è molto appropriata, in quanto la mente è proprio come il mare, che in alcuni giorni è in burrasca mentre in altri è calmo.  In questo mare riusciamo a vedere solo gli strati superficiali e non il profondo dove in realtà sono nascoste le cause dei nostri mali, le paure, l’ansia, la brama…

Il Mantra serve a controllare questi pensieri negativi. Dunque, il mantra, il cui uso è largamente diffuso nella tradizione indiana, è uno strumento potente per mezzo del quale si intende ottenere il controllo della mente o indurre nella stessa contenuti diversi dagli usuali. Ma nessun tentativo di definizione, tuttavia, può esprimere in modo adeguato il significato che tale nome assume nella cultura indù. In altri termini il Mantra è per la cultura indiana uno strumento verbale a cui i più attribuiscono straordinari poteri.

Con l’utilizzo di un Mantra appropriato tutto sembra divenire possibile e nessun indiano mostra dubbi nel collegare il Mantra allo Shabda Brahman o Suono Divino. Correttamente recitati e intonati divennero nell’antichità parte integrante della liturgia, ponendosi addirittura come strumento di comunicazione con la divinità prescelta.

Nei tempi moderni, l’efficacia del Mantra non è tanto ricollegabile al significato delle parole che lo compongono, ma alla disciplina mentale che esso rappresenta, costituita da induzione nella stessa mente di impulsi volti all’elevazione e all’auto guarigione. Sicuramente il mantenere la mente impegnata su contenuti “migliori” degli usuali, induce il fiorire di una diversa natura nel praticante. Si afferma nella moderna psicologia che persino una bugia ripetuta più di sessanta volte diviene per chi la sostiene una verità.

Per la stessa ragione esprimere con la propria mente migliaia di volte un “proposito”, se così si può dire, può portare verso una concreta realizzazione. Una goccia d’acqua può realizzare assai poco, ma centinaia di milioni di gocce possono praticare un taglio nella roccia, oppure cambiare addirittura la morfologia della terra.

Non bisogna tuttavia dimenticare che, sempre secondo la cultura indiana, l’obiettivo più elevato di tali formule è quello di realizzare un collegamento diretto con il Divino. Il Mantra è uno strumento considerato facile, ma serio, al quale si può ricorrere per stabilizzare la mente su un’idea e mono-direzionarla verso un obiettivo.

Il Mantra è una potente e breve formula spirituale che ha la capacità di trasformare la coscienza. Non c’è nulla di ipnotico o di magico, è solo una questione di pratica.  

Quando pratichiamo il Mantra, stiamo richiamando il più grande potere che siamo in grado di concepire: possiamo chiamarlo Dio, Realtà Ultima o Sè Interiore. Qualunque nome gli attribuiamo, con il Mantra stiamo richiamando la parte migliore che c’è in noi.

E’ una pratica che si riscontra sia nelle religioni occidentali, dove prende il nome di Nome Santo, sia nella religione induista che in quella buddhista, dove prende appunto il nome di Mantra. E’ fondamentale che una volta scelto il Mantra non si cambi, per non rischiare di fare come il contadino che per trovare l’acqua, scava innumerevoli buche in superficie senza risultato, mentre se avesse impiegato lo stesso tempo per scavarne una sola profonda l’avrebbe sicuramente trovata.

Il Mantra non è una vera e propria preghiera; con la preghiera, infatti, noi chiediamo qualcosa, mentre con il Mantra cerchiamo di avvicinarci al divino.  Più lo si ripete, più esso affonda le proprie radici nella nostra coscienza tanto che continueremo a ripeterlo mentalmente senza nemmeno rendercene conto.

Il Mantra ha anche una funzione calmante a livello mentale. Nel profondo di noi stessi abbiamo immense risorse che possiamo utilizzare per avere il controllo della nostra mente. Molte persone pensano che un controllo impedirebbe il libero scorrere dei pensieri eppure a nessuno viene in mente di mettere in discussione la necessità del controllo e della disciplina quando ci si deve impadronire di abilità di tipo fisico.

Più la mente diventa calma e stabile, più riusciamo a realizzare nella vita quotidiana, la nostra vera gioia e ad acquistare quell’instancabile energia nell’operare per il benessere del prossimo. Quando siamo preoccupati, inquieti o mossi da un bisogno urgente di soddisfazione personale a spese del nostro prossimo, il Mantra può trasformare queste emozioni in una fonte di forte potere e aiutarci a non agire e parlare impulsivamente: questo non significa reprimere le emozioni, bensì usarle, invece di farci usare da esse.

Un’enorme quantità di energia vitale viene dispersa nell’oscillazione della mente tra ciò che ci è gradito e ciò che non lo è, quando siamo prigionieri di preferenze e avversioni, di opinioni ferme e abitudini rigide non possiamo agire al nostro meglio né conoscere una vera sicurezza.

Viviamo alla mercé di circostanze esterne: se le cose vanno come diciamo allora siamo contenti, in caso contrario siamo depressi. E’ difficile modificarsi, essere elastici e accettare qualunque cambiamento, ma possiamo provarci.

Le persone che hanno sviluppato questa preziosa qualità sono in grado di riprendere la loro posizione ogni volta che la vita prova ad abbatterle. Per affrontare i lavori sgraditi bisogna seguire alcune semplici regole: attenzione totale e non rimandare ciò che deve essere fatto… così si otterranno i migliori risultati nel minor tempo possibile.

Siamo costantemente condizionati a ricercare l’eccitazione come se fosse la quinta essenza della vita. Ciò che non è eccitante ci appare solo noioso e monotono. Se ci sentiamo vivi solo quando siamo euforici allora saremo condannati a sentirci depressi quando l’eccitazione svanisce.

La legge della natura stabilisce che ciò che sale deve inevitabilmente scendere, più saremo eccitati prima più saremo depressi dopo e così via in una continua altalena.  Il Mantra serve anche a tramutare i diversi sentimenti come le preoccupazioni, la paura, l’ansia, l’ira, l’impazienza o i desideri e a convertirli in qualcosa di più utile.

La pratica del Mantra non richiede tanto tempo, bastano pochi minuti qua e là nell’arco della giornata, alla fine della quale si dovrebbe aver accumulato un bel po’ di tempo.

Quest’articolo è tratto dal Numero 2 di Yoga Magazine (Gennaio 2015). Se sei interessato ad acquistare le copie cartacee di Yoga Magazine, puoi visitare la sezione “Tutti i numeri“. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente ad opere umanitarie.

QUANDO SI PUO’ RECITARE UN MANTRA?

  • mentre aspettiamo
  • mentre camminiamo
  • nella routine giornaliera
  • quando siamo ammalati: spesso i malati si compiangono per la propria situazione e dal momento che l’energia  segue il pensiero, molte volte il proseguimento della malattia è dovuto al fattore psicosomatico che tende ad allungare i tempi di guarigione. Ripetendo il Mantra si calma la mente e si pensa di meno ai propri sintomi
  • mentre svolgiamo attività di tipo meccanico ripetitivo, che non richiedono la nostra totale attenzione
  • nei momenti di noia
  • di notte: ripetere il Mantra prima di addormentarsi permette al cervello di elaborarlo e continuare a ripeterlo dormendo. E’ particolarmente indicato per chi soffre di insonnia.
  • la scrittura e la recitazione del Mantra possono essere svolte quando la mente è troppo agitata e non ci si riesce a concentrare adeguatamente.

Se adesso doveste provare a recitare un Mantra con regolarità, poi abbandonare la pratica e riprenderla fra una ventina di anni, il Mantra vi salirebbe automaticamente alle labbra e continuereste a ripeterlo come se non aveste mai smesso.

Questo è un esempio del suo potere.

Attraverso la costante ripetizione, la mente viene gradualmente distolta dal costante flusso mutevole dei pensieri e, focalizzandosi su sé stessa, diviene un vero e proprio strumento di conoscenza.

 (Tratto da “Mantra. Il potere dei suoni sacri” di Amrita G. Ceravolo)

Puoi visitare anche la sezione Mantra su Yogapedia.it.

Amrita G. Ceravolo. Praticante Yoga da 20 anni, dopo aver studiato per circa dieci anni danza classica.
Ha iniziato la pratica dello Yoga studiando con la discepola diretta di Swami Kriyananda e conseguendo il diploma di Insegnante Yoga, a seguito di una formazione triennale.
Ha approfondito le tecniche di Yogaterapia con il Maestro indiano Om Anandji, conseguendo il diploma “Yogatherapy & Meditation Techniques”, e il Mantra Yoga con il Maestro tibetano Rinpoche Tashi Lama Tsering.Ha arricchito le sue conoscenze con lo studio di Yoga Nidra, un’importante tecnica meditativa orientale; Yoga Mudra; Yoga in Coppia e le due esperienze di maternità le hanno permesso di approfondire lo studio e l’applicazione dello Yoga in Gravidanza, scoprendo la sua fondamentale importanza in questo delicato momento.

E’ ora Presidente dell’Accademia Sathya Yoga, Direttore Onorario di “Paramanand Institute of Yoga Sciences & Research” (India), Direttore Onorario di “International Association of Indian Yoga” (India), membro dell’Associazione Nazionale Insegnanti Yoga e della European Yoga Federation. Ha scritto e pubblicato articoli e libri riguardanti i diversi aspetti dello Yoga, tra cui “Mantra Yoga. Il potere dei suoni”, “Yoga Nidra”, “I Mudra. La danza dello Yoga”, “Chakra e Riequilibrio Energetico”, “Yoga per la donna e Yoga Prenatal”.

Fondatrice della rivista quadrimestrale “Yoga Magazine“, edita da Om Edizioni. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente a opere umanitarie.
Da molti anni a contatto con il sociale attraverso attività rivolte a malati di Aids, bambini leucemici e ideatrice del progetto “Liberi Dentro”, grazie al quale Sathya Yoga porta gratuitamente lo Yoga e la Meditazione all’interno dell’Istituto Carcerario di Monza. Grazie queste esperienze è ora “Yoga Accessible Ambassador” per la divulgazione di progetti Yoga Accessibile, lo Yoga adattato alle esigenze di allievi con disabilità.