Yoga e Resilienza

Piegarsi senza spezzarsi: questa potrebbe essere la giusta definizione di resilienza…
Essa rappresenta il modo di affrontare le difficoltà, vivere momenti difficili senza lasciarsi sopraffare… senza cadere nella depressione né nella disperazione.
Resilienza e speranza vanno a braccetto.
In psicologia la resilienza è la capacità dell’essere umano di sopportare le avversità, di non arrendersi di fronte alle “intemperie”, ma piuttosto di combatterle fino al loro superamento totale. E’ la facoltà di non demordere.
Anche la pazienza accompagna la resilienza e sicuramente in parte l’accettazione.

La resilienza prevede un cambio di punto di vista, come nello Yoga le asana che prevedono inversioni, perché a volte per superare le avversità bisogna imparare a vedere le cose in maniera diversa abbandonando i soliti schemi di pensiero. Le difficoltà spesso portano all’impossibilità di vivere la vita come si era sempre fatto, bisogna rompere le abitudini in essere per sostituirle con nuove e magari migliori sotto vari punto di vista (oggi più che mai siamo chiamati a cambiare le nostre abitudini, in questi tempi di covid19).

Il concetto di resilienza può essere avvicinato all’immagine della canna di bambù.

In Cina (sperando non sia un tabù nominarla) gli agricoltori coltivano questa pianta dalla crescita decisamente insolita. E’ una pena per loro seguire il suo progresso perché più che lento, sembra praticamente nullo. Il primo anno di vita l’arbusto cresce pochissimo. Il secondo anno va pure peggio. L’albero non cresce e neanche il terzo ed il quarto anno. Ma se uno decide di non lasciarsi abbattere e di continuare a sperare portando pazienza allora viene a scoprire che il quinto anno finalmente le canne crescono superando 10 metri di altezza in circa 6 settimane.

Durante quegli anni in cui la pianta sembra ferma, sviluppa solide radici nel sottosuolo che le permetteranno successivamente di crescere in altezza senza il rischio di crollare. Anche nello Yoga il lavoro sulle radici è fondamentale… ci permettono di radicarci, di affermare noi stessi, capire il nostro potenziale andando a lavorare a livello energetico sui primi tre chakra, quelli più connessi alla terra. Da lì il viaggio è verso l’alto, il cielo, i sentimenti più puri, la conoscenza e l’introspezione. Ma tutto parte dalla terra, dai piedi, dalle nostre radici .. senza radici forte non possiamo spiccare il volo.

Ma il bambù viene associato alla resilienza anche per la sua estrema flessibilità che gli permette di piegarsi, ma soprattutto di resistere e non spezzarsi.

E come non pensare allo Yoga quando si parla di flessibilità. Abbiamo spesso davanti a noi le immagini di corpi flessuosi in grado di assumere posizioni che vanno quasi oltre l’umano. Ma siamo sicuri che quello sia effettivamente Yoga? Una mia insegnante di Yoga (a cui devo il fatto di avere reso lo Yoga centrale nella mia vita) mi diceva che spesso in corpi estremamente flessibili possono nascondersi menti molto rigide. A volte viviamo la pratica dello Yoga come una ricerca del perfezionismo dell’esecuzione irrigidendoci dentro schemi mentali molto definiti e poco travalicabili. Lo Yoga è invece flessibilità nel senso di capacità di accettare i nostri limiti, provare a superarli, ma sempre nell’estremo rispetto di noi stessi. Capita spesso che un asana non “venga” e magari ci obblighiamo in tutti i modi ad assumerla anche se ci arrechiamo dolore solo per essere “perfetti” per dimostrare a noi e agli altri chi siamo. E’ proprio in questi momenti che dobbiamo imparare a lasciare andare, fermarci all’asana preparatoria, essere umili, accettare ed amare quel corpo che in quel momento non riesce in quello che la mente vorrebbe. E’ proprio in quel momento che siamo davvero flessibili e che stiamo praticando davvero yoga.

Quello che ci deve accompagnare nella nostra pratica è proprio una sana e realistica capacità di intendere e volere basata su un costante e paziente lavoro su se stessi alla ricerca non del perfezionismo o della perfezione, ma di una serena accettazione rivolta al miglioramento continuo.

La resilienza è proprio questa accettazione rivolta al miglioramento. E’ un profondo lavoro su se stessi.

Lascio ora spazio alle parole di un lama buddista, Lama Gangchen, che mi paiono ben sintetizzare la resilienza: “Non cercare di cambiare la tua vita, cambia il tuo atteggiamento verso la vita. Nella tua mente c’è abbastanza spazio per trovare nuove soluzioni. La felicità è dentro di noi. Se guardiamo nella direzione sbagliata non possiamo vederla”.

Questo Articolo è tratto dal blog Savitri Magazine di Massimo Mannarelli e Sibilla Vecchiarino, che si ringraziano per il prezioso contributo.

Sibilla Vecchiarino. Praticante di Yoga da circa 20 anni e insegnante (certificata CONI) dal 2014. Ha studiato e conseguito il proprio diploma di insegnante presso Sathya Yoga di Monza, scuola di Amrita Ceravolo. Ha altresì diploma di insegnante dei 7 Riti Tibetani conseguito con la Maestra Silvia Salvarani.

Ha tenuto corsi in vari centri del milanese e oggi insegna a Milano presso La Voce del Corpo. Tiene seminari con il marito Massimo Mannarelli con cui ha approfondito e studiato il collegamento tra Yoga e preghiera islamica e Sufismo.

Collabora fin dalla sua nascita con la testata dedicata allo Yoga “Yoga Magazine“. Insieme al marito scrive sul blog Savitri Magazine, diario del percorso di conoscenza e del cammino spirituale dei suoi fondatori. Ha viaggiato in Iran e India dove ha conosciuto luoghi sacri di diverse tradizioni e ne ha approfondito lo studio.

Coronavirus e relatività: come fluire con gli eventi inaspettati

Vi siete mai chiesti perchè il fiore di Tarassaco è giallo? Dietro casa mia ce ne sono a palate, del resto questo è il loro periodo. Sbocciano nei prati di campagna come i funghi durante il periodo autunnale. Mia nonna andava pazza per il Tarassaco, non tanto per il fiore, quanto piuttosto per la pianta. Avete mai mangiato le foglie di Tarassaco? Qua in Pianura, una volta, raccogliere il Tarassaco per fare l’insalata era una tradizione, segnava l’inizio della primavera. Ora no, non più. C’è troppo inquinamento per poter pensare di mangiarlo, troppi fertilizzanti.

Quelli dietro casa sono belli da guardare: mi siedo tra l’erbetta appena tagliata e li osservo. Dureranno il tempo di qualche giorno, per poi trasformarsi in soffione e svanire nel vento come piccoli paracaduti, trasportatori di vita.
Il fiore di Tarassaco giallo e il soffione sono la stessa cosa o sono due cose diverse e distinte? E il prossimo anno, da quella pianta di Tarassaco nascerà un nuovo e diverso fiore giallo e un nuovo e diverso soffione o saranno gli stessi di quest’anno? No, in realtà non vi sto chiedendo se è nato prima l’uovo o la gallina. E neppure di dare una risposta ‘matematica’, convenzionale, linguistica a questi quesiti. Non vi chiedo neppure di pensarci. E’ l’intuito, la prima impressione, quella che conta.

Nel ciclo naturale della Vita è necessaria la Morte. Il Tarassaco si – in qualche modo – ‘snatura’, trasformandosi e in qualche modo perdendo la sua forma di fiore giallo per mutare in soffione. E quando il soffione ‘muore’, cioè si sgretola in mille paracaduti (perdendo la sua forma originaria, ma soprattutto quella che noi abbiamo attribuito essere la sua forma originaria), lo fa per la Vita, per generare nuova Vita.
Così, di primo acchito, mi verrebbe da dire che fiore di Tarassaco coi petali gialli, soffione e paracaduti portatrici di vita sono la stessa cosa.
Non c’è dualità, distinzione: l’Essenza Divina è il flusso della trasformazione stessa.

Secondo lo Zen non vi è differenza tra Vita e Morte, Luce e Buio, Forma e Spazio. L’uno è la versione dell’altro, come una moneta non potrebbe esistere senza avere due facce. Nulla, per la verità, potrebbe esistere, essere senza il suo opposto.

Dalla storia del tarassaco si evincono diverse cose:

  • fiore giallo non potrebbe esistere senza il soffione e viceversa;
  • fiore giallo e soffione sono, in realtà, due classificazioni che abbiamo, per così dire, inventato noi, con il nostro linguaggio per descrivere un fenomeno che ai nostri occhi appare diverso per forma (ma siamo sicuri che lo sia anche per sostanza?)
  • il flusso inarrestabile della trasformazione che NON possiamo fermare con il nostro Ego;

Nel momento in cui scrivo, seduta sul divano di casa, mio zio sta guardando il telegiornale. In onda, come al solito, qualche servizio in cui si parla del Coronavirus. «Progresso uguale Regresso». E’ una frase che ha sempre detto, ma ultimamente gliela sento dire più spesso. Lui proprio ce l’ha a morte con tutti i nostri cellulari, i social, gli schermi. Del resto, il Regresso è l’altra faccia del Progresso.

Sembra un’affermazione ovvia e banale, ma in verità ci hanno insegnato a classificare e separare le cose, qualsiasi cosa, perciò con la nostra mente razionale in realtà noi non pensiamo che il Regresso sia l’altra faccia del Progresso. Nella lotta all’evoluzione crediamo che ogni cosa sia il progresso dell’altra, perciò dovremo senza subbio, sempre e comunque andare verso un miglioramento delle cose.
Io mi sono guardata un po’ intorno in questi mesi, specie in queste ultime e settimane e, scusatemi, io non credo di aver visto tutto sto progresso.
Perciò mi vien da confermare: Progresso uguale Regresso. Ma non perchè ce l’ho con i telefonini, la scienza, le industrie alimentari che deforestano migliaia di ettari di giungla per predisporre allevamenti intensivi. No, ma solo perchè Progresso e Regresso sono la stessa cosa. Se c’è uno c’è l’altro e viceversa.

E in tutto questo flusso di non dualità, di ‘opposti-reciproci’ si inserisce anche il nostro Coronavirus.

Sta nel flusso delle cose, in questa onda infinita ed eterna che ci accompagna e dove gli opposti sono sinonimi di una sola entità, così come il suono non potrebbe esistere senza il silenzio e viceversa, in una costante relatività. E noi non siamo ne più ne meno che quel flusso.
Chi conosce a fondo lo Yoga avrà senza dubbio sentito parlare di Maya, l’illusione. Così è Maya, il nostro voler per forza separare il fiore giallo di Tarassaco dal soffione, il Progresso dal Regresso, il Bene dal Male. Questo è solo un ‘prodotto’ della nostra mente logica, mentre la suddivisione di, fatto, è solo illusoria. Classifichiamo, cataloghiamo, controlliamo. Impacchettiamo tutto, bello sistemato, con i numeri sopra e le lettere in ordine alfabetico.

La nostra frustrazione (che erroneamente cerchiamo di sconfiggere con lo Yoga) è data dal fatto che ci aggrappiamo alla Vita o, meglio, al lato che consideriamo essere buono della medaglia, senza comprendere che un lato – per così dire – considerato ‘buono’, prevede anche un lato considerato ‘non buono’.

Chi è già stato in India almeno una volta, lo sa bene quanto gli opposti, in questo Paese, possono perdere la loro valenza. Vita e Morte corrono parallelamente e molto di ciò che per loro costituisce la ‘realtà’ noi la consideriamo paradosso. Pensate alla vacca, per loro Sacra e per questo lasciata libera dagli umani, ma costretta a cibarsi della plastica che trova per strada, abbandonata dagli stessi che credono nella sua divinità. Giusto? Sbagliato? Dipende dal nostro punto di vista.
Di fatto anche lo Yoga diventa vano se eseguito per raggiungere uno scopo, come può essere, ad esempio, liberarsi dalla frustrazione. «Desidero non essere frustrato». E come ogni Yogini sa perfettamente, il desiderio è qualcosa che non potrebbe essere contemplato nello Yoga. Capita spesso, in questo viaggio che vogliamo compiere verso la liberazione, che corriamo il rischio di ‘desiderare di non desiderare’ e di rimanere nel pantano.

Lo Zen ci insegna che non c’è nulla da raggiungere, nulla da afferrare. Che poi alla fine è la stessa cosa che ci insegna lo Yoga, se sappiamo conoscere a fondo il suo significato essenziale: UNIONE. C’è una bella frase che sta sulla copertina posteriore del libro di Alan Watts «La Via dello Zen». Immagino sia una frase sua, di Alan Watts, anche se non ci sono i crediti. Beh, questa frase per me è stata come un secondo riaprire gli occhi, come poi tutto ciò che letto nel libro. Questa frase recita: «Non si pratica lo Zen per divenire Budda; lo si pratica perchè si è Budda sin dall’inizio». E questo è meraviglioso.

Nella nostra pratica di Odaka Yoga siamo soliti agire senza sforzo, nel fluire costante del movimento che non è mai statico, ma cambia velocemente creando forme diverse alle quali non saprei neppure dare un nome e non avrebbe senso darlo in realtà. Il ‘nome’ è una cosa che abbiamo creato noi per dare delle spiegazioni a cose, solo per poter comunicare fra di noi. Con Odaka Yoga creo delle forme, ma è sempre il mio corpo che le crea. Quelle ‘forme’ e il mio corpo sono la stessa cosa. Non c’è differenza tra la mia posizione eretta e supina: cambia solo il punto di vista dell’osservatore.
Oltre alla pratica fisica, di Odaka Yoga amo la teoria, la filosofia che mi ha indotto a concepire la vita in modo estremamente relativo, come una danza giocosa di creazione e distruzione che non sono altro che la stessa identica cosa. Questo è veramente interessante. Poiché fa comprendere quanto il filo conduttore delle cose sia il medesimo per tutto.
Non dico che sia semplice fluire nel flusso delle cose. Dobbiamo dimenticare ciò che ci hanno insegnato e abbiamo secoli e secoli da dimenticare. E’ un processo giornaliero, ma non credo sia impossibile.

Così il Coronavirus è solo un altro evento della ruota. E anche io ho visto la Morte, anche da piuttosto vicino e anche più volte. Come tutti noi. Li vedete i documentari alla TV? Credo di sì, in questo periodo di TV ne vediamo tanta, qualche documentario ce lo saremo sicuramente passato. Tra gli animali esistono guerre fratricide. In quello che è rimasto della catena alimentare diverse specie si debbono mangiare per sopravvivere. Mai come nella catena alimentare Vita e Morte diventano la stessa cosa. Ma su un piano più alto quelli che noi possiamo considerare ‘omicidi’ producono armonia. Credete che questo non avvenga anche nel nostro corpo? Nel nostro sangue ci sono lotte sanguinarie (scusate il gioco di parole) tra particelle. Ma se non succedesse non potremo essere in salute. Ciò che su un piano può sembrare ‘ingiusto’ su un altro è armonia.

Tutto questo è a dir poco strabiliante, non credete?
Quindi, vi siete mai chiesti perchè il fiore del Tarassaco è giallo?

Valentina Ferrero. Ho iniziato a fare yoga quasi per caso, quando ero ancora una giornalista, un po’ come accade spesso a chi poi decide di fare dello yoga la sua vita. Perchè? Banalmente perchè mi ero stufata della routine frenetica che mi teneva legata al pc a scrivere, tutto il giorno, tutti i santi giorni. E che mi aveva fatto perde l’amore mio più grande, quello per la poesia e per la comunicazione attraverso i racconti. E insieme – a causa della routine – avevo perso anche un bel po’ di altre cose: emozioni, sensazioni, voglia di mangiare cibo buono, voglia di abbracciare, di baciare.

Qualcuno la chiama felicità e, in effetti, non ha tutti i torti.Lo yoga mi ha reso felice. E’ andata a stimolare tutti quegli ingredienti (sensazioni, emozioni) e li ha rimessi a posto. Al loro posto. Quello che avevano prima. Così ho lasciato perdere un po’ di cose – nel frattempo ho anche perso il lavoro di giornalista – e ho dato una sterzata alla mia vita.Volevo essere più consapevole: unirmi al tutto. Essere un Uno e tornare a emozionarmi. Che è poi l’essenza vera e più intima dello yoga.

E così… eccomi qui. Oggi pratico yoga, faccio corsi, scrivo di yoga, parlo di yoga, rompo le scatole al mio compagno tutto il giorno sullo yoga (e lui non mi ha ancora mandato a stendere – ed è una grande cosa). Attualmente insegno in una piccola cittadina ai piedi delle montagne piemontesi, Pinerolo.

Odaka Yoga è il percorso che ho scelto, anche se è più appropriato dire che è stato lui a scegliere me, in qualche modo. E’ una delle discipline e dei metodi più innovativi dello yoga, nato da oltre trent’anni di ricerca e sperimentazione da parte di due italiani, Roberto Miletti e Francesca Cassia. Odaka Yoga parte dall’acqua, da quell’elemento che è fondamentale per la nostra vita e del quale siamo principalmente costituiti. Un elemento che non ha forma, ma che può assumere tutte le forme, fluendo libero.

Surya Namaskara, quando è nato il Saluto al Sole?

A differenza di quanto ritenuto comunemente il famosissimo Saluto al Sole (Surya Namaskara) non ha antichissime origini ed è praticamente sicuro che ai tempi dei Veda (oltre 2.000 anni fa) nessuno lo praticasse. C’era ovviamente il culto del sole, ma non la sequenza di asana oggi eseguita in tutto il mondo.
surya namaskaraTra i pochissimi che ancora provano a sostenere tali origini antiche c’è Christopher Tompkins che si è focalizzato sulla setta proto-tantrica Pāśupata nata a partire dal II secolo. Secondo Tompkins le pratiche di circumnavigazione del linga rappresentante il “sole” Siva proprie di questa setta sarebbero da accostare al Surya Namaskara come sua vera origine storica. Egli sostiene che all’interno di queste “camminate” rituali venivano usate pose corporee riprese dalla tradizione della danza sacra indiana rintracciabili nel Nātyaśāstra, l’opera indiana più importante dedicata all’arte teatrale. È difficile però incontrare in quest’opera descrizioni che possano ricordare la sequenza del saluto al sole.

Risulta anche difficile dimostrare che Krishnamacharya, come invece pretenderebbe Tompkins, conoscesse il commento ai Pāśupata Sūtra. Anche oggi nelle montagne sacre indiane si possono vedere sadhu che seguono quei modelli di camminata probabilmente non diversi da quelli di cui sopra. Classica è la sequenza costituita dal lancio di una pietra davanti a sé, inginocchiamento ritmico, prostrazione totale del corpo, ripresa della pietra in mano, alzata, un altro passo (o pochi passi avanti) e ancora lancio della pietra, ecc. È una pratica nota con il nome di dandavat parikrama. In questa sequenza, giocando di fantasia, potrebbe essere possibile ravvisare alcuni movimenti che potrebbero far pensare ad asana del saluto al sole: in particolar modo Chaturanga Dandasana e Bhujagasana. Ma le analogie sono troppo lontane.

Gli storici dello yoga tendono a riportare le origini del Surya Namaskara all’inizio del XX secolo. Una prima testimonianza si trova nelle pubblicazioni di Bhavanarao Pant Pratinidhim (1868-1951), raja di Aundh, piccolo principato dell’India governato dai britannici che nel 1928 scrisse Surya Namaskars (Sun Adoration)  for Health, Efficiency and Longevity.

Bhavanarao era il terzo figlio e pareva non destinato a governare. A differenza, quindi, di molti principi si dedicò agli studi. Era molto interessato all’arte ed alla cultura fisica ed in particolare per quanto riguarda quest’ultima approfondì la conoscenza del wrestling e del mallakhamb (sport tradizionale indiano in cui si eseguono posture yoga aeree e prese di wrestling in concerto con un palo fisso in legno). Praticava lui stesso gli esercizi di Sandow, un tedesco considerato ai tempi l’uomo più forte d’Europa e molto famoso in India probabilmente perché ai tempi gli indiani cercavano di ricostruire una identità di popolo “muscolarmente” forte perché spesso considerati deboli dagli Inglesi. La diffusione del body building di Sandow fu permesso anche dai numerosi libri (anche fotografici) che lui pubblicò.

Non è chiaro come Pant arrivò alla definizione della sequenza del Surya Namaskara. Nella sua biografia si dice solo che: “il raja stesso svolgeva questi esercizi di devozione al sole, molto regolarmente da quando il suo collega ed amico il vecchio raja di Mirai gli consigliò di farli”.

Egli insistette dapprima che i suoi figli lo praticassero e successivamente tutti i ragazzi a scuola. Nel 1923 scrisse un libro in Marathi su tale pratica che fu poi tradotto in inglese.

Egli vedeva in questa sequenza una alternativa tipicamente indiana agli stili ginnici di matrice europea. Il Surya Namaskara veniva visto come esercizio per l’allungamento e il rafforzamento dei muscoli e delle articolazioni, una pratica che servisse a lavorare sul corpo nel suo complesso e dunque il saluto al sole veniva considerato come pratica prettamente salutistica.

Nel 1927 spiegò al “Times  of India” i benefici di questa pratica: “La grande particolarità ed importanza della pratica del Namaskara consiste nel fatto di poter essere eseguito in qualsiasi ora, in qualsiasi stagione, a tutte le età e sia da uomini che donne” (quest’ultimo è senz’altro un elemento di grande modernità visto quanto poco lo yoga fosse pensato per le donne. Pensate a quanto faticò Indra Devi, donna e pure occidentale, a farsi accettare come allieva da Krishnamacharya).

Il raja considerata la grande importanza che attribuiva alla pratica decise di portarla all’estero. Egli fece girare un piccolo filmato e lo diffuse in tutti i paesi che visitò. Quando arrivò in Inghilterra una giornalista (Louise Morgan) ne fu così affascinata da scrivere una serie di sei articoli per il News Chronicle, famoso quotidiano dei tempi. Gli articoli erano corredati da fotografie dello stesso “inventore” della pratica e di uno studente di Oxford.

L’interesse che queste pubblicazioni suscitarono lo portarono nel 1938 a scrivere il libro “The Ten-Point Way to Health. Surya Namaskars”.

Anche il figlio di Pant Pratinidhim, Apa, che intraprese la carriera del diplomatico quando Aundh ritornò in mano al governo indiano, scrisse nel 1970 un’operetta sul Sūrya Namaskāra:  “Surya Namaskar, an Ancient Indian Exercise”.

Tutti questi trattati sul saluto al sole difficilmente parlano di Yoga e questo fa capire come le due pratiche non fossero considerate correlate.

Nel bellissimo libro “The Yoga Body”, Mark Singleton afferma che il Sūryanamaskāra sia stato inventato proprio da Patinidhi Pant, nonostante il Rāja più volte affermi nel suo testo, secondo un modello espositivo tipicamente induista, che non si tratti di una sua invenzione, bensì di una tradizione di antica origine marathi. Tuttavia, come ben sottolinea Singleton, non esiste alcuna prova testuale esplicita che la sequenza Sūryanamaskāra sia stata praticata prima del XX secolo.

Successivamente a tali pubblicazioni la notorietà di questa sequenza continuò a crescere soprattutto a Mysore, grazie a Krishnamacharya.

All’inizio degli anni ’30, Krishnamacharya aveva assegnato ad un altro insegnante (suo allievo) una classe di di preparazione fisica allo yoga in cui veniva praticato il Surya Namaskara, oltre a forme di allenamento di estrazione occidentale (non molto yogiche, quindi). Successivamente tale classe di allenamento fu fusa con quella seguita direttamente dal famoso maestro indiano e questo induce a ritenere  che il saluto al sole non fosse ritenuta una sequenza di asana, ma di movimenti preparatori allo Yoga vero e proprio.

Krishnamacharya presentò il Surya Namaskara nello Yoga Makaranda, scritto nel 1934 (quindi alcuni anni dopo Pant Pratinidhim). Sembra certo che Krishnamacharya fosse stato influenzato nella messa a punto del suo stile dalla tradizione ginnico-marziale praticata nella casa reale di Mysore, dall’addestramento militare britannico (pare quasi incredibile che qualcosa di militare ed occidentale sia presente nello yoga che oggi noi pratichiamo) e, ovviamente, dalla pratica spirituale: è ovviamente l’enfasi sul respiro e sulla devozione che distinse il suo insegnamento dello yoga da una dimensione puramente atletica insieme alla componente “vinyasa” ossia di collegamento dei vari asana in una dinamica fluida.

Allievi di Krishnamacharya divenuti a loro volta maestri sono stati fondamentali nella strutturazione di larga parte della storia dello yoga moderno: basti pensare a Pattabhi Jois, fondatore dell’Asthanga Yoga o a B.K.S. Iyengar, fondatore dello Iyengar Yoga, o a Indra Devi. Questi (e altri) maestri hanno continuato a insegnare il Sūrya Namaskāra a migliaia di allievi di tutte le nazionalità. Tra i più importanti “divulgatori” del Surya Namaskara negli USA (ed in particolare in California, dove già pochi anni prima aveva insegnato anche Pattabhi Jois) si ricordano l’insegnante di Ashtanga Yoga, Tim Miller, e l’insegnante di Iyengar Yoga, Roger Cole.

E così il saluto al sole è diventato uno dei pilastri della pratica attuale dello yoga anche se nato come separato dallo stesso sebbene nella stessa patria e respirando la medesima aria. Studiando si può comprendere sempre di più come il “nostro” concetto di Yoga (per quanto spesso definito tradizionale da maestri ed insegnanti di vario tipo) sia molto lontano e distante da quello che l’India ha sempre definito Yoga (basti vedere la scarsa importanza data alle asana da Patanjali, ma anche da Vivekananda che portò lo Yoga in occidente alla fine del XIX secolo).

Questo Articolo è tratto dal blog Savitri Magazine di Massimo Mannarelli e Sibilla Vecchiarino, che si ringraziano per il prezioso contributo.

Sibilla Vecchiarino. Praticante di Yoga da circa 20 anni e insegnante (certificata CONI) dal 2014. Ha studiato e conseguito il proprio diploma di insegnante presso Sathya Yoga di Monza, scuola di Amrita Ceravolo. Ha altresì diploma di insegnante dei 7 Riti Tibetani conseguito con la Maestra Silvia Salvarani.

Ha tenuto corsi in vari centri del milanese e oggi insegna a Milano presso La Voce del Corpo. Tiene seminari con il marito Massimo Mannarelli con cui ha approfondito e studiato il collegamento tra Yoga e preghiera islamica e Sufismo.

Collabora fin dalla sua nascita con la testata dedicata allo Yoga “Yoga Magazine“. Insieme al marito scrive sul blog Savitri Magazine, diario del percorso di conoscenza e del cammino spirituale dei suoi fondatori. Ha viaggiato in Iran e India dove ha conosciuto luoghi sacri di diverse tradizioni e ne ha approfondito lo studio.

Perchè lasciare andare ci rende liberi

Quando ho cominciato il mio corso di formazione per diventare un’insegnante di Odaka Yoga c’era una frase che Francesca, mia formatrice e fondatrice della disciplina, mi ripeteva sempre: Lascia Andare

Ed è una frase questa, «Lascia Andare» che puoi sentire spesso quando vai a una lezione di yoga, qualsiasi sia lo stile che hai scelto per te, in questo momento. E devo ammettere che Francesca non è stata l’unica persona a suggerirmi di lasciare andare, spesso, nella mia vita.

Nell’ultimo anno ho sperimentato diversi livelli di ansia (sì, perchè anche se fai yoga da tempo, non sei di certo esente a questo genere di sensazioni). A volte l’ansia mi ha permesso di vivere normalmente, altre volte è stato più difficile. In certi punti, se qualcuno mi avesse detto di “lasciar andare”, posso garantire che più che compassione avrei provato seri istinti omicidi. Niente di personale ovviamente.
Se sei pieno di collera o ansia e qualcuno ti dice che devi lasciare andare, spesso la prima sensazione è quella di sentirsi fraintesi, come se le tue emozioni fossero cose di poco conto e non valesse la pena spenderci tempo, respiro, pensieri.
La verità è che molto spesso ciò che sei oggi non è altro che il risultato di ciò che hai vissuto prima.

Ho sempre avuto la smania di controllare le cose, in modo che tutto andasse come avevo pianificato, con i miei preconcetti, le mie idee. Se mi affezionavo a un’idea, poi quella doveva materializzarsi, un po’ come il coniglio nel cappello del mago, in uno spettacolo di magia. Alla fine quell’idea controllava me e ci rimanevo imbrigliata. Sono rimasta imbrigliata nella stessa idea per buona parte della mia vita.
Spesso non siamo consapevoli di tutte queste idee che vivono dentro di noi, di come di definiscono e, spesso, ci controllano.
Certamente non lo ero. Fino a quando ho incontrato lo yoga e ho capito che le mie idee ed io eravamo due cose diverse. E che, in verità, non mi rappresentavano. Ma proprio per niente.

Come l’ho capito? Con un ascolto profondo.

E magari tu mi dirai che non hai la più pallida idea di come fare ad ascoltarti, anche se sai che effettivamente è l’unica strada percorribile.
L’ascolto profondo è il processo di connessione vera e propria con noi stessi e con la nostra vita. Non è tanto una tecnica specifica quanto un approccio a come riceviamo e rispondiamo a noi stessi e agli altri.
Negli ultimi 5 anni, l’ascolto profondo mi ha aiutato a riprendermi da ferite, malattie e dolore. Mi ha aiutato a capire meglio le mie relazioni stimolanti e ad avvicinarmi alle persone che sono importanti per me.

Praticando e insegnando ho scoperto molte cose di me e della società in cui vivo.
Vale a dire:
La maggior parte di noi è abituata a vivere la vita come una serie di reazioni a ciò che sta succedendo intorno a noi.
La maggior parte di noi si sente stressata e sopraffatta per la maggior parte del tempo.
La maggior parte di noi vive con la tensione nel nostro corpo che sta devastando la nostra salute.
La maggior parte di noi soffre di ansia e non sa perché nasce.
La maggior parte di noi porta in giro potenti narrazioni emotive – le “storie” che ci raccontiamo del nostro dolore non digerito – e non siamo sicuri di come guarire i danni del passato.
La maggior parte di noi non capisce come cambiare le abitudini che ci tengono bloccati.
E la maggior parte di noi non sa come essere gentile e compassionevole con se stesso, condizione che ci permette di evolvere.

Ma la verità è che lo stress non è davvero il problema. Il problema è la risposta a quello stress che, in altre parole, non è nient’altro che lasciar andare.
Negli Yoga Sutra di Patanjali si parla anche di Non-Attaccamento.

Per molto tempo è stato il mio cruccio e il non attaccamento mi sembrava qualcosa di veramente impossibile da realizzare.
Come si può avere compassione ed essere distaccati? Come possiamo prenderci cura degli altri, avere ambizioni ed essere distaccati? Come possiamo avere figli, amanti, motivazioni, carriere ed essere distaccati da tutto questo?
E’ frustrante. Come posso avere abbastanza soldi per mantenere mio figlio e lasciare andare allo stesso tempo, lasciando che le cose accadano da sé, senza rimanere intrappolata in tutto questo?

Credo che la prima cosa da cui partire per iniziare questo processo di ‘lasciare andare’ (che probabilmente durerà tutta la vita), è la consapevolezza che tutto è in movimento. Un movimento continuo. Il mio padrino semplificherebbe in modo forse un po’ cinico che niente è per sempre. E detta così fa un po’ paura perché il cambiamento è, per sua natura, verso qualcosa che non conosciamo, che non possiamo controllare e che quindi ci spaventa. Ma non possiamo mai sapere ciò che è bene o male per noi, in questo momento.

In Odaka Yoga aiutiamo questo processo – quello di lasciare andare – attraverso il flow, attraverso movimenti circolari, assimilabili alle onde del mare, che non hanno né un inizio né una fine.
Così non esiste una posa da raggiungere, un punto d’arrivo, ma un fluire di movimenti costanti che, potenzialmente, potrebbero essere eseguiti senza fine. Il nostro corpo, così, può provare a lasciare andare, senza la frustrazione di dover per forza raggiungere qualcosa. E se il corpo si lascia andare è anche molto più facile che lo faccia la mente. Con questi movimenti raggiungiamo uno stadio in cui corpo e mente sono come ‘sospesi nell’eterno ora’. Con allungamenti e posizioni facciamo spazio nel nostro corpo e spazio nella nostra mente. Fare spazio significa anche ‘lasciare andare’ quello che non ci serve, compresi pensieri, idee, problemi a cui ci siamo aggrappati e che ci controllano.
Questo non significa che dobbiamo eliminare delle ‘cose’, ma lasciare che siano. Questo è l’atteggiamento con cui possiamo fare spazio. Piuttosto che allontanare parti di noi, stiamo creando un ambiente che ci permette semplicemente di allentare la presa. Non dobbiamo sistemare nulla. Tutto quello che stiamo facendo è portare un’attenzione tenera e non giudicante al nostro corpo e fare spazio a tutto ciò che ci vive. È così che inizia il processo di cambiamento: con la consapevolezza che tutto è in movimento e con l’accettazione.

Niente scompare mai
finche’ non ci insegna
quello che dobbiamo sapere.
— Pema Chödrön

Negli Yoga Sutra di Patanjali questo atto ha un nome specifico: Aparigraha. Aparigraha ha molte traduzioni. Nella sua forma più pura, assomiglia al vairagya, la parola sanscrita per distacco e rinuncia. È il cammino che i santi uomini dell’India, i sadhus, prendono quando si lasciano tutte le cose terrene alle spalle e iniziano una vita di austerità.
Non dobbiamo prendere questa strada austera per imparare che le cose che chiamiamo ‘possedimenti’ possono creare follia. Abbiamo solo bisogno di guardare intorno a noi. Siamo una società di “stoccaggio”. Di scatole, armadi, scarpe vecchie che non useremo più, ricordi, relazioni. Cose che non usiamo ma dalle quali non abbiamo la minima intenzione di separarci. Non è che non dovremmo godere di oggetti materiali, ma da qualche parte lungo la strada siamo diventati accaparratori di essi. “Queste cose qui – sono mie”, diciamo, e le mettiamo tutte in una scatola sotto il letto.

Quando abbracciamo l’Aparigraha, diventiamo come l’uccello in erba. Non siamo nati per rimanere aggrappati a un ramo. Siamo nati per volare.
E lo stesso vale per le emozioni, la rabbia, la gioia, la delusione, l’euforia, la tristezza.
Per iniziare a praticare l’Aparigraha dobbiamo lasciar andare parte del bagaglio fisico, emotivo e mentale che abbiamo accumulato nel corso del nostro viaggio. Quella scatola di foto ricoperta di polvere che guardiamo ogni settimana? Possiamo lasciar perdere. Il rapporto che non si sente mai veramente stabile? Anche questo può andare. Le credenze, le opinioni e i giudizi? Anche loro devono essere abbattuti. Quando ci lasciamo andare, cresciamo.

Con il tempo ho capito che la pratica fa davvero qualcosa di miracoloso, indipendentemente dal fatto che si creda o meno in qualcosa. E anche il ‘lasciare andare’ diventa un processo di consapevolezza, anche per chi, come me, vive nell’ansia costante.
Il nostro Sensei, Roberto Milletti, fondatore di Odaka Yoga, ci racconta spesso una parabola sul comportamento delle scimmie che ben si addice a spiegare la capacità di lasciare andare. Ci racconta di anfore ricolme di noccioline, lasciate come esca per catturare i piccoli animali. La scimmia, vorace e alla ricerca di cibo, infila la sua mano nell’anfora, alla ricerca delle noccioline che riesce ad afferrare in un pugno. All’atto di estrarre la mano per mangiare le noccioline, quello stesso arto rimane intrappolato nell’anfora, impedendo alla scimmia di scappare. Potrebbe sfuggire all’esca ed essere libera solo lasciando andare le noccioline. Trattenerle, invece, le impedisce di avere spazio per sfilare il braccio dall’anfora ed essere libera. Così, la scimmia, vorace e incapace di lasciare andare le noccioline, viene presto catturata.

Ecco il concetto, semplice, ma essenziale: trattenere rende prigionieri, lasciare andare rende liberi.

Valentina Ferrero. Ho iniziato a fare yoga quasi per caso, quando ero ancora una giornalista, un po’ come accade spesso a chi poi decide di fare dello yoga la sua vita. Perchè? Banalmente perchè mi ero stufata della routine frenetica che mi teneva legata al pc a scrivere, tutto il giorno, tutti i santi giorni. E che mi aveva fatto perde l’amore mio più grande, quello per la poesia e per la comunicazione attraverso i racconti. E insieme – a causa della routine – avevo perso anche un bel po’ di altre cose: emozioni, sensazioni, voglia di mangiare cibo buono, voglia di abbracciare, di baciare.

Qualcuno la chiama felicità e, in effetti, non ha tutti i torti.Lo yoga mi ha reso felice. E’ andata a stimolare tutti quegli ingredienti (sensazioni, emozioni) e li ha rimessi a posto. Al loro posto. Quello che avevano prima. Così ho lasciato perdere un po’ di cose – nel frattempo ho anche perso il lavoro di giornalista – e ho dato una sterzata alla mia vita.Volevo essere più consapevole: unirmi al tutto. Essere un Uno e tornare a emozionarmi. Che è poi l’essenza vera e più intima dello yoga.

E così… eccomi qui. Oggi pratico yoga, faccio corsi, scrivo di yoga, parlo di yoga, rompo le scatole al mio compagno tutto il giorno sullo yoga (e lui non mi ha ancora mandato a stendere – ed è una grande cosa). Attualmente insegno in una piccola cittadina ai piedi delle montagne piemontesi, Pinerolo.

Odaka Yoga è il percorso che ho scelto, anche se è più appropriato dire che è stato lui a scegliere me, in qualche modo. E’ una delle discipline e dei metodi più innovativi dello yoga, nato da oltre trent’anni di ricerca e sperimentazione da parte di due italiani, Roberto Miletti e Francesca Cassia. Odaka Yoga parte dall’acqua, da quell’elemento che è fondamentale per la nostra vita e del quale siamo principalmente costituiti. Un elemento che non ha forma, ma che può assumere tutte le forme, fluendo libero.

Cosa direbbe il tuo Tappetino se potesse parlare?

What if your Yoga Mat could talk?

Intervista di Janine Claudia Nizza alle sue allieve/i e ai loro tappetini di yoga.

Sto entrando in classe… le luci sono soffuse… qualche allieva ha già srotolato il suo tappetino e si è distesa a terra per preparare il respiro Ujjayi in Shavasana… una sensazione familiare e intima permea l’intera yoga shala. Sapete che ognuno di voi ha una voce ”Ocean Breathing“ che riconoscerei tra mille? Il vostro albero respiratorio crea un canto come nel Nada Yoga! Mi avvicino alla consolle, metto un cd di mantra e strumenti indiani per creare l‘atmosfera della lezione che tra poco inizierà, ammetto che dopo molti anni di insegnamento provo ancora una forte emozione ad entrare nel sacro spazio dello yoga.

Oggi è un giorno speciale: sono qui per intervistare i vostri tappetini e mi pare già di sentir bisbigliare qualche vocina dal pavimento! Spesso pensiamo di essere soli davanti alla nostra pratica, invece abbiamo una compagnia proprio sotto di noi che delimita lo spazio del nostro yoga… la stuoia, il nostro tappetino, e con lei/lui  facciamo le esperienze del nostro sentire, il contatto con i palmi delle mani, dei piedi, nuca, ginocchia e l’uso sapiente con cui nello yoga impariamo con i nostri arti a contrastare la forza di gravità per allungarci ed espanderci corporalmente e spiritualmente; avete mai pensato che cosa direbbe il vostro yoga mat se potesse parlare? Senz’altro narrerebbe molto di noi: le conquiste di un’asana difficile, il benessere  che lo yoga rilascia come un’aurea tutta intorno e attraverso il  respiro che  lambisce dentro  di noi luoghi profondi con essenze vitali!!!

Vi ricordate, ad esempio, le innumerevoli volte che abbiamo praticato quando eravamo stanche/i, ma non ci siamo arrese/i e quei momenti speciali in cui i nostri amorevoli maestre/i si sono avvicinate/i e con un tocco leggero ci hanno aggiustato la postura? Quanti ricordi, quante  emozioni, quante scoperte!

Oggi vi parlerò di queste storie silenti intervistando le stuoie  dei miei allievi e chissà che non se ne tracci una lettura nuova che riveli qualche personale segreto o suggerimento per migliorare  la nostra pratica  yoga!

Tappetino di Marta. Giornalista

Nel 2006 quando fui comprato per iniziare la pratica di Yoga flow con Janine ero convinto che fosse facile e noioso, invece fu difficilissimo, durante la lezione la mia Marta pensò più volte di lasciare tutto e andare al bar!!!! Ricordo che nel primo compleanno che lei ha compiuto mentre praticava, inaspettatamente scoppiò in lacrime e la sua guru la abbracciò confortandola (sapendo che questo spesso accade poichè il risveglio durante lo yoga non avviene solo nel corpo e nella mente, ma anche nell’anima che necessita di liberarsi dalle sofferenze congelate nel passato!). L’anno successivo Marta si regalò con la sua maestra una lezione privata per il suo secondo compleanno da praticante e per la prima volta riuscì ad eseguire full Danurasana (il ponte, che non riusciva più a fare da quando era una ginnasta bambina!). Quel giorno Marta mi arrotolò stretto stretto sotto il suo braccio e tornando a casa si senti più forte, quel giorno il flow nel suo corpo le aveva cambiato la  vita! Da quel momento lo Yoga per lei è diventato questo: una rivoluzione che parte dal corpo e abbatte i dubbi della mente e delle paure mentre  aiuta ad accettare limiti e cambiamenti… grazie yoga! L’esperienza di Marta ha fatto di me un tappetino migliore!

Tappetino di Gloria. Manager

Sono arrivato allo yoga flow nel 2007, dopo una ricerca durata mesi durante i quali ho attraversato letteralmente parecchi pavimenti di scuole e di stili di yoga diversi! Dopo la prima lezione di prova, Gloria ha immediatamente capito di aver trovato il metodo più giusto e più vicino alla sua personalità. Lo stile dinamico del Flow è ideale per sviluppare armoniosamente tutte le aree muscolari con grande attenzione agli allineamenti delle posture, alla mobilità della spina dorsale e delle altre articolazioni. Ho percepito l’effetto di tonicità e armonia con cui in modo “gentile” e attento ha lavorato su di me la pratica del Vinyasa di Gloria, finchè al seguito di un suo trasferimento a Milano nel 2012, dispiaciuta di dover interrompere la pratica Flow qui a Roma, domandò alla sua maestra consiglio. Con grande sorpresa la indirizzò fiduciosa verso l’Asthanga Yoga poiché il lavoro che aveva fatto col respiro Ujjayi e i Saluti al Sole l’avevano preparata a nuovi apprendimenti!  L’aver praticato Vinyasa Flow fu propedeutico per Gloria, creando continuità nella nuova pratica facendole affrontare la transizione in modo  semplice e armonioso!

Sempre al mio fianco destro riconosco il tappetino di Dinara, dalla foggia femminile e molto tecnica… mi avvicino per intervistarlo:

Tappetino di Dinara. Finance Officer, CSFC

Visto da fuori sembra che io funga solo d’appoggio alla pratica di Dinara, invece ad uno sguardo più attento si vede che sono stato capace di intendere e di evolvermi perché il mio cuore di tappetino è amplificato dalla pratica yoga! Le prime settimane di yoga crearono una forte concentrazione, energia e abbandono iniziarono ad essere atteggiamenti necessari e costanti tanto che Dinara, ricevuti molti benefici sin dall’inizio grazie alla regolarità delle sessioni yoga flow, iniziò ad incrementare  la sua pratica yoga da una volta a settimana direttamente a tre! In meno di un anno fui portato in yoga reatreats e ad impegnarmi in molti weekend di studio nel TTC 200 ore! Quanto impegno e quante soddisfazioni! Notai (anche se per lei non era rilevante) che la sua insegnante apprezzò la sua fluidità e perdita di peso eccessivo… in meno di un anno di pratica yoga aveva aquistato un corpo agile e snello! Oggi posso dire che la sua  pratica è salita ad un livello inaspettato e vedo con immenso piacere che Dinara ha trovato nella pratica yoga il modo per contrastare senza sforzo le sue abitudini alimentari, di cui beneficia tutto il suo essere!

Wow che esperienza fantastica, grazie tappetino. E’ vero che lo yoga aumenta la nostra consapevolezza fino ad individuare naturalmente cosa è bene per noi anche nel cibo, che raccomandiamo possa essere  il più vegetariano possibile!

Voi yoga mat siete gli amici più intimi degli yogi, mi interessano tantissimo le vostre opinioni e il potere “ipnotizzante” che avete quando, malgrado la stanchezza o il disappunto riuscite a farvi srotolare per una sessione di pratica!

Ma ora non sto nella pelle, vado ad ascoltare le impressioni di quello di Barbora alla mia sinistra, un’allieva dallo stato vitale alto e positivo!

Tappetino di Barbora. CFS Travel Unit, CSFD

Io sono un tappetino tranquillo e fidato, mi reputo l’amico perfetto che sa condurre Barbora alla persuasione che la felicità e la salute sono dentro di lei… non fuori! Nessuno meglio di me la conosce così bene: per esempio quando si sente forte o debole! Io so benissimo quando è arrabbiata oppure dubbiosa perchè la sua pratica yoga è come un termometro delle sue emozioni e convinzioni, per questo insieme raggiungiamo momenti di pace e umiltà, conquistiamo la saggezza del qui ed ora ritrovando quella compassione e gentilezza per noi e per gli altri che avevamo sommerse chissà dove nel caos dell’incessante tendenza dell’ego di proiettarsi nel passato e nel futuro, annientando il presente. Io davvero mi sento l’unico testimone di dove Barbora è arrivata nella sua pratica yoga e dove andrà perseverando nel flow. Faccio una dichiarazione a voi tutti: prometto di non lasciarla mai, starò ai suoi piedi per il resto della vita nella sua casa e a lezione sempre se lei lo vorrà!

Hey ragazzi che confessione passionale… quasi una promessa d’amore eterno… ma in fondo non  è così tanto distante dalla realtà. Io stessa negli anni ho collezionato molti tappetini, di diversa foggia ed epoca e posso dire che con ognuno di loro ho stretto senza accorgermene relazioni molto importanti come quella volta che in una stretta camera d’albergo in Baltimora tutti i miei parenti pranzavano dilungandosi a tavola e io arrivavo qualche minuto dopo perchè prima di mangiare io e il mio tappetino dovevamo « yogare »! Ma non divaghiamo please… vedo discreto e silenzioso avvicinarsi, si fa per dire, lo yoga mat di Sara.

Tappetino di Sara. Statistician, ESS

“Come  tappetino yoga flow comprendo di avere più libertà di quanto credevo… quel limite geometrico di cui credevo di esser fatto non influisce sulla vastità delle cose che posso conoscere durante la pratica di Sara! Sento la mistica che trasforma il nostro spazio in  respiro e che ci permette di sciogliere i blocchi fisici e mentali uno ad uno! Le asana sono solo un espediente per sfidare i nostri limiti e grazie ai fondamenti dello yoga procediamo senza giudizo, anzi, rallentando e dilatando il respiro e gli allineamenti nel Vinyasa abbiamo il tempo di osservare il cambiamento dentro e fuori! Da quando la mia Sara pratica yoga ho aggiunto tante nuove buone abitutudini nella quotidianità, compresa quella di srotolarmi sempre più spesso a terra per farla praticare almeno 10 minuti anche quando sento che lei pensa di non averne il tempo, e sempre più spesso ora è lei che mi viene a cercare. Lo yoga ci  fa vivere quelle sensazioni di libertà nella disciplina di gioia nell’impegno e serenità nel continuo presente, respiro dopo respiro!

Ma il più scoppiettante di tutti è la stuoia di Emma: sentiamo cosa ne pensa di lei mentre pratica le asana a terra…

Tappetino di Emma

“Ahhhhhh finalmente ti sei fermata. Abbandona il tuo corpo su di me, completamente… Non sento il peso delle tue gambe, le stai tenendo su per caso? Lasciale andare, voglio sentirmi schiacciato sotto di te. Adesso si che possiamo cominciare. Inspira, espira, inspira e… che fatica respirare oggi. C’é qualcosa che ti impedisce di respirare profondamente? Riproviamo: inspira, espira, inspira… meglio! Dai, lascia fuori tutti i pensieri, le cose che devi fare al lavoro possono aspettare un pó, respira. Inspira nuova energia, e butta fuori i brutti pensieri. Manda l’aria buona nei polmoni e gonfia il petto, butta fuori l’aria cattiva e schiaccia gli addominali cosi la strizzi tutta fuori. Visto come ti senti meglio adesso? E sai che puoi farlo anche senza di me, puoi farlo da seduta mentre aspetti un colloquio di lavoro, puoi farlo da in piedi mentre sei in fila alla posta, e vedrai che la giornata sembrerá piú colorata. Vai, provalo, e quando torni mi racconti. Ti aspetto qui giovedi prossimo alle 13, per una nuova lezione di yoga flow ”.

Caro tappetino di Emma nel tuo modo allegro hai praticamente sintetizzato come si respira Ujjayi ed hai ragione a dire che è un po’ faticoso specialmente all’inizio della pratica yoga quando arriviamo a lezione con tutte le tensioni della giornata sul corpo e con una respirazione costretta e superficiale dall’abitudine che allontana la mente dal corpo! Grazie per questo specifico remainder; voi tappetini siete molto attenti ed utili per noi, per ricordarci cosa è importante e quanto valiamo!

Anche il tappetino di “Sarah con l’h” mi incuriosisce: è sempre al mio lato sinistro in classe e non ama guardarsi nello specchio…

Tappetino di Sarah. OCCP

Mi onora essere interpellato per parlare a mio nome e a quello di Sarah dell’ora di yoga  che ci piace tanto e di poter condividere con gli altri tappetini e yogi pensieri e sensazioni. Tutti questi anni in cui con la mia Sarah abbiamo approcciato diversi stili di yoga, solo quest’anno per la prima volta ci siamo sentiti davvero motivati e coinvolti sia dal punto di vista fisico che da quello spirituale. La combinazione delle asana in continuità, corredate e collegate dal respiro è la risposta che cercavamo dallo yoga, praticando Vinyasa flow riusciamo a scrollarci di dosso tutto il resto; lasciamo emergere una concentrazione che ci fa fluire dentro l’intera sequenza. Da più di un anno ormai vedo Sarah più equilibrata nel suo mondo interiore e in quello esteriore! Entrambe siamo coscienti che se incrementassimo a due o tre sessioni yoga per settimana sarebbe davvero ideale, ma ci piace pensare che anche solo richiamando dentro di noi lo stato mentale e fisico che proviamo nel flow ci basti per entrare subito in quel mondo di ritmo e armonia che ci fa star bene anche solo pensandolo!

Caro tappetino di Sarah, sono onorata a mia volta che abbiate scelto il flow e che soddisfi le vostre esigenze esistenziali e motorie! Anch’io per circa un anno praticai solo una volta a settimana  ed è vero che ha un effetto molto positivo durante la settimana. Lo yoga mi serviva per dare il meglio nelle altre attività incluso lo sport. Posso comunque dirti che negli anni successivi la mia pratica diventò tutta ad un tratto quotidiana! Niente e nessuno può prevedere quando succederà, ma senz’altro (viste le tue sagge considerazioni a riguardo) tu e la tua Sarah avete “bonne chance” che questo accada prima o poi!

Ma ecco un’osservazione molto breve e molto zen che arriva dal purple yoga mat di  Elisa.

Tappetino di Elisa

Mi chiamo Viola e sono il tappetino di Elisa, quando iniziamo la classe di yoga sentiamo il peso del mondo sulle noste spalle, alla fine della pratica vediamo un immenso orizzonte!

Nell’armonia dei suoi profumi e tappeti accoglienti raggiungo la stuoia di Silvia.

Tappetino di Silvia. Imprenditrice

Sono il tappetino di Silvia e potrei definire i miei 15 anni di pratica individuale con la mia insegnante con questa frase di Madre Teresa di Calcutta:

“Fate che chiunque venga a voi se ne vada sentendosi meglio e più felice. Tutti devono vedere la bontà del vostro viso, nei vostri occhi, nel vostro sorriso. La gioia traspare dagli occhi, si manifesta quando parliamo e camminiamo. Non può essere racchiusa dentro di noi: trabocca. La gioia è molto contagiosa”.

L’insegnante più che insegnare, dona! Come tappetino di Silvia sento di dirvi che in fondo nella pratica yoga si diventa inaspettatamente amici, complici con noi stessi, con i compagni di yoga e con i nostri maestri; scopriamo che la felicità si prova più nel dare che nel ricevere come la Santa Madre ci ricorda nella sua splendida frase!

Un’intesa profonda che abbiamo reciprocamente per i nostri amici animali soprattutto i gatti con la cara Annalisa, il che mi fa accostare curiosa di sapere dal suo tappetino come va nel suo mondo yoga e felino.

Tappetino di Annalisa. Insegnante

È vero, confermo. A me piace quando il gatto di Annalisa si stropiccia il musetto su di me, basta però con le unghie che sono delicato!!! Ad Annalisa piace molto praticare sotto la guida amorevole e professionale di Janine, lei sente che è già nel cammino: la scoperta e la rivelazione della conoscenza è nella pratica stessa dello yoga… solo in questa dimensione di reciproco “esserci l’uno per l’altra” tra maestro e allieva la mente e il corpo possono potenziarsi, aquisire forza, equilibrio, rispetto, raffinandosi sempre più nel fluire del Flow!

Che bello grazie tappetino micino! Solo in un ambiente dolce e comprensivo le persone acquisiscono fiducia in se stesse e sfidano le vette più alte superando ostacoli enormi (incluse malattia, dolore, cambiamenti…). Questo tappetino ricorda a noi insegnanti di non smettere mai di incoraggiare sempre i nostri allievi poichè loro si affidano a noi ed è importante meritarci la loro fiducia con tutto l’impegno possibile, la nostra integrità nell’insegnamento sia perseverante sempre anche e soprattutto con i più fragili o deboli!

Ecco due miei allievi nel fiore della loro terza età fedelissimi alla pratica, con i loro yoga mat rosa e verde.

Tappetino di Elvira. Pensionata

Io sono Rosa, siamo nuove io ed Elvira, appena sei mesi fa non conoscevamo lo yoga, poi abbiamo iniziato per curiosità e già in questo poco tempo abbiamo notato che la pratica regolare ha cambiato la postura e ci consente di fare movimenti prima inimmaginabili. Oggi la sento molto soddisfatta del suo yoga e piena di gratitudine per averlo scoperto anche a questa età.

Tappetino di Agostino. Pensionato

Salve io sono Verde, il tappetino di Agostino. Malgrado lui soffra di una forte scoliosi vede continui miglioramenti nella postura della colonna vertebrale e nella mobilità delle anche, nonostante abbia cominciato insieme a sua moglie Elvira soli sei mesi fa! Da quello che posso capire lo yoga praticato con la respirazione Ujjayi aiuta a portare molto presto beneficio nelle zone che entrambi avevano dimenticato di rivitalizzare da molti anni!

È vero caro Verde, tu che testimoni i progressi di Agostino meglio di me. Sai quanto sollievo in quelle zone affrancate dal dolore le asana e il respiro profondo hanno portato in cosi breve tempo: sembra, ed è in effetti cosi, che il nostro corpo benchè trascurato da anni di sedentarietà e incuria motoria sia poi disposto a rallegrarsi e a risvegliarsi presto con noi quando lo portiamo a yoga!

Stuoia di Francesca, una guerriera del respiro affetta da asma, che mi puoi dire della sua pratica?

Tappetino di Francesca. Insegnante

Posso dirvi che ad ogni incontro con la lezione di Yoga flow, Francesca sente di avere un’occasione di consolidamento, scoperta e miglioramento nella cura costante del suo equilibrio psicofisico. Per quanto riguarda la sua dispnea cronica intermittente, praticare lo yoga è un momento di risveglio e sostegno profondo della capacità respiratoria, di attivazione della corretta muscolatura anche e soprattutto quella respiratoria. Abbiamo imparato a coordinare il respiro con la presa di Uddyanabandha e Mulabandha  rilasciando altre zone  muscolari contratte. Io non potrei chiedere di più per lei… grazie Yoga!

È vero caro yoga mat di Francesca, hai toccato un tema assai importante dello yoga: attraverso il respiro profondo l’attenzione della mente è nel corpo e può guidarlo verso dissociazioni muscolari e tendinee inverosimili! Grazie alla pratica yoga tutti possono imparare a diminuire la tensione temporo-mandibolare che affligge milioni di persone nella rigidezza del collo spostando quella stessa energia verso i muscoli addominali e pelvici, preposti, se rinforzati e riattivati, a sostenere la colonna vertebrale senza irrigidimenti e tensioni nella cervicale e nelle anche… una rieducazione posturale gentile e persuasiva quella del Vinyasa!

Il tappetino di una mia allieva da 17 anni e carissima amica sorridendo mi dice:

Tappetino di Sonia. Grafica

Io sono Prana il tappetino di Sonia e vengo dalla California. Yoga è unione e Yoga Flow le ha insegnato ad unire il corpo al respiro tramite il movimento dicendo alla sua mente di avere pazienza verso di lei e il mondo. Io e Sonia abbiamo visto capitare tante cose meravigliose durante la pratica, quali ad esempio osservare il corpo migliorare a qualsiasi età, scoprire di non avere più bisogno di tanto cibo oppure riuscire a non fumare più, smettendo quasi “naturalmente”. Per Sonia la pratica è una sfida quotidiana, senza competizione che la stimola a superare i propri limiti  fisici o mentali con il modo severo, ma vigile e compassionevole da maestro indiano di Janine e la mia complicità di devoto tappetino oltreoceano! Grazie ad una lunga pratica ora la mia Sonia è anche insegnante di yoga ed è molto amata dai suoi allievi… cosi anch’io mi prendo un po’ di alloro, Flow!

Tappetino di Marco. Taxi driver

Ero un tappetino scettico: frequentando il corso di yoga mi ha sorpreso la segreta necessità di Marco di portarmi a lezione puntualmente anche se stremato dal tremendo mal di schiena accumulato durante la guida nel suo lavoro. Ho imparato da lui che le tensioni che sentiva da anni rivendicavano l’importanza del benessere nel quotidiano e più in generale lo yoga rivalutava il suo completo essere! Ho avuto la prova che la sua pratica della respirazione Ujjayi risulta fondamentale per ogni esecuzione di asana permettendo al tempo stesso di superare il dolore delle articolazioni irrigidite, allungandole gradualmente e senza traumi.

Grazie tappetino, è vero molte persone pensano che quando una parte del corpo “tira” dobbiamo restare fermi. Non c’è cosa peggiore dell’immobilità per una leggera infiammazione che bloccare l’arto nella misera condizione di invalido! Il Prana che circola nel nostro corpo quando facciamo yoga è curativo e in grado di aiutare e ossigenare le zone spesso da noi stesse colpite perchè trascurate!

Tappetino di Monica. Insegante certificata Yoga Flow, 200 ore 1 livello 2017/18

Mi presento sono il tappetino di Monica. Sono molti anni che pratica con me ogni dove la sua maestra organizza un workshop o partecipa ad un festival. Frequenta i suoi corsi tre volte a settimana e quando Janine va in India la sostituisce egregiamente a lezione: non ho mai visto cosi tanta devozione alla pratica yoga e agli insegnamenti come lei. Mi affascina la sua gentilezza, compassione per le difficoltà dei suoi compagni/e yogi. E’ sempre pronta a sostenere tutti, persino sua figlia viene a lezione a volte con lei! Un tempo soffriva di forti irrigidimenti cervicali (causati dal  suo lavoro al computer) che la invalidavano seriamente tenendola immobilizzata a letto! Ora non ne soffre più: vedo che il suo corpo yogico ha invertito le tendenze posturali di un tempo. Monica ha superato problemi enormi con una serena e costante pratica del flow e la sua insegnante, l’ho vista più di una volta, ha gli occhi che brillano di stima e fiducia quando la guarda! È in questa sede che la sua maestro ha deciso di farle un dono dal centro del suo cuore: ha scelto per lei un nome sanscrito che la rappresenti Dharma Devi! Om Shantih, bravissima Monica sono tanto felice per te!

Oh! Tappetino di Monica… mi hai fatto commuovere! E’ giusto parlare con orgoglio degli allievi devoti alla loro pratica, bisogna ricordare che anche noi insegnanti siamo umani e talvolta abbiamo bisogno anche noi di vedere che il nostro lavoro è utile e produce risultati inimmaginabili!

Ognuna di queste voci è servita all’apprendimento e a mantenere vivo l’ascolto, l’interesse per il nostro vero Sè. Vi esorto a continuare a crescere e a sbocciare adorati Yogi Flowers! Invitiamo tutti voi amici lettori yogi di tutti gli stili e metodi a mandare i vostri commenti qui, unitevi a noi con le vostre impressioni sul tappetino! Condivideremo la gioia e le esperienze sempre uniche e al tempo stesso universali! Abbiamo bisogno l’uno dell’altra per aumentare il sapere che da individuo a individuo si tramanda! La saggezza della pratica condivisa ha il potere di accelerare  l’evoluzione della nostra  Mente, Corpo e Anima!

Scrivete i vostri commenti e le vostre esperienze all’articolo: “If your yoga mat could talk”.

Gruppo Yoga flow fotografato da Glauco Dattini.

Janine Claudia Nizza.
Insegnante Vinyasa Yoga Flow dal 2002.
Expert Registered Yoga Teacher 500 Plus Yoga Alliance International.
Docente e autrice del TTC Vinyasa Yoga Flow 250 Online 2020/21 per la scuola di formazione HaraBenessere.
Docente del Corso Vinyasa Yoga Flow per FAO Staff Coop.

Autrice di numerosi articoli per: Vivere lo Yoga, Yoga Journal Italia, Yoga Magazine e Yoga Pills.
Info: www.yogaflow.it

Il benessere con lo Shiatsu, ricetta per la longevità

Lo Shiatsu, diffuso in Giappone sin dal VI secolo, è una pratica manuale manipolatoria che stimola nel ricevente un processo di auto guarigione. Shiatsu letteralmente significa “pressione” (atsu), che viene effettuata con le dita (shi), le mani, i gomiti e le ginocchia su determinati punti (tsubo) per riequilibrare l’energia (ki) lungo i meridiani. La tecnica del massaggio si basa sulla concezione energetica che è anche tipica della medicina cinese tradizionale. In pratica, un individuo può accusare uno stato di malessere in una zona jitsu dov’è un eccesso di ki, o in una zona kyo dove invece l’energia è carente. Dal jitsu si individua il sintomo la cui causa risiede nel kyo. Il massaggio Shiatsu procede sempre sul doppio binario kyo-jitsu, del pieno e del vuoto, perché risolvere un malessere non vuol dire solo agire localmente, bensì intervenire sull’unità psicofisica del paziente.

massaggio shiatsuPer Gianpiero Brusasco (fonte: Ansa) operatore Fisieo (Federazione Italiana Shiatsu Insegnanti e Operatori), che si occupa di Shiatsu e gravidanza, può “aiutare le mamme a stabilire un legame con il bimbo che portano in grembo, e a superare la paura del parto”, facilitando in parte l’induzione tanto che in alcune città vengono organizzati anche dei corsi per le ostetriche. Aiuta anche contro la depressione post parto, per l’allattamento, e può essere praticato anche sul bimbo: il trattamento dura meno, spesso dai 5 ai 25 minuti, e gli allungamenti sono utili per favorire lo sviluppo fisico del piccolo, facilitandone i movimenti nei diversi stadi di crescita. Oltre che a poter essere praticato sia da ragazzi che da adulti, sembra essere anche parte di una ricetta per la longevità. Quella dello shiatsu è una ‘spinta gentile’ che come spiega Renato Zaffina, presidente della Fisieo, “aiuta non solo ad allungare la vita ma ad ‘allargarla’”.

Di come questa pratica sia amica della longevità e della salute nel suo complesso si parlerà alla Settimana nazionale dello Shiatsu, organizzata proprio dalla Fisieo e giunta all’ottava edizione, in programma in tutta Italia dal 18 al 25 settembre, dal titolo “Shiatsu e pratiche di lunga vita”. Con studi aperti ed eventi (per informazioni www.fisieo.it). Secondo la Fisieo è riconosciuto, guardando anche alla longevità in Giappone, che molti strumenti per mantenere una vita duratura e sana, attingono da antiche tradizioni. Fra queste, lo Shiatsu, che si basa su una visione di salutogenesi: non si focalizza sulle patologie, si occupa della persona nel suo insieme psicofisico. “Avvicinarsi allo shiatsu – aggiunge Zaffina – può servire per migliorare la capacità di gestire le emozioni e le risorse interne”. Tra le discipline del benessere lo Shiatsu è il rimedio antistress preferito dagli italiani. Quasi un milione e mezzo hanno provato lo Shiatsu e circa 600 mila ne fanno uso abitualmente. Anche nella terza età si può iniziare, e i benefici si possono ottenere con patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer e in generale le demenze o il Parkinson. Come dimostra ad esempio un progetto portato avanti qualche anno fa e che si vuole riproporre in Calabria con Anaste (Associazione nazionale strutture terza età).

È stato fatto un duplice lavoro: con il personale sanitario e con gli anziani, che hanno mostrato di rispondere molto bene. Il massaggiatore lavora sui meridiani, lungo i quali scorre il ki. Ci si basa sui meridiani dell’agopuntura che sono 12. L’energia si manifesta nei 5 elementi (fuoco, terra, acqua, metallo, legno) e a ognuno di essi è associato un organo. A ogni elemento corrispondono 2 meridiani, uno yin e uno yang; solo al fuoco ne corrispondono 4. I meridiani sono bilaterali quindi sono 24 in tutto. Se il massaggiatore preme il meridiano in un punto, verrà stimolata quella particolare zona, ma anche tutto ciò che si trova lungo quel meridiano. Le due manovre principali eseguite sono la pressione e lo stiramento praticate con mani, gomiti, ginocchia e piedi. Il massaggiatore deve rimanere sempre molto rilassato mentre imprime una pressione, perché deve trarre forza direttamente dal suo hara. La durata di una pressione varia di 5 ai 7 secondi, intorno al collo mai più di 3 secondi. Una seduta di massaggio Shiatsu solitamente dura circa un’ora.

L’antica pratica orientale si diffonde in  Europa all’inizio degli anni settanta, quando trova un ambiente particolarmente favorevole alla propria diffusione ed al proprio sviluppo, come “terapia alternativa” in risposta alla crescente domanda di salute ed alla difficoltà a fornire risposte della medicina istituzionale. Per alcuni anni i praticanti sono poche centinaia; i primi corsi si svolgono in forma amatoriale e disorganizzata. Nel 1997 la Commissione europea lo ha elencato come uno degli otto metodi di medicina complementare (risoluzione dell’Unione europea del 29 maggio 1997 sullo status della medicina non convenzionale); gli altri elencati erano la chiropratica, l’omeopatia, la medicina antroposofica, la medicina tradizionale cinese (compresa l’agopuntura), la naturopatia, l’osteopatia e la fitoterapia.

La seduta

Il massaggiatore lavora sui meridiani, lungo i quali scorre il ki. Ci si basa sui meridiani dell’agopuntura che sono 12. L’energia si manifesta nei 5 elementi (fuoco, terra, acqua, metallo, legno) e a ognuno di essi è associato un organo.

A ogni elemento corrispondono 2 meridiani, uno yin e uno yang; solo al fuoco ne corrispondono 4. I meridiani sono bilaterali quindi sono 24 in tutto. Se il massaggiatore preme il meridiano in un punto, verrà stimolata quella particolare zona, ma anche tutto ciò che si trova lungo quel meridiano.

Le due manovre principali eseguite sono la pressione e lo stiramento praticate con mani, gomiti, ginocchia e piedi. Il massaggiatore deve rimanere sempre molto rilassato mentre imprime una pressione, perché deve trarre forza direttamente dal suo hara.

La durata di una pressione varia di 5 ai 7 secondi, intorno al collo mai più di 3 secondi. Una seduta di massaggio Shiatsu solitamente dura circa un’ora.

Ci teniamo a precisare che una seduta di shiatsu varia molto a seconda di chi la esegue perché le mani dell’operatore shiatsu si muovono a seconda di quello che sente e di ciò che il corpo del ricevente gli comunica, delle risposte che arrivano dalla persona insieme a cui sta lavorando.

Marco Staffiero, il cui nome spirituale è Ardas Sadhana Singh, è insegnante certificato di Kundalini Yoga con diploma è riconosciuto a livello internazionale dal KRI (Kundalini Research Institute) e dall’IKYTA (International Kundalini Yoga Teacher Associations) e a livello nazionale dalla UISP – Area Discipline Orientali. Ha seguito il corso di formazione insegnanti con Guru Shabad De Santis, il primo insegnante di Kundalini Yoga in Italia, presso il centro Yogi Bhajan Akhara, a Roma. Inoltre, insegna Yoga ai bambini. E’ stato formato dall’insegnante Gurudass Kaur, cofondatrice del primo centro di Kundalini Yoga a Barcellona e fondatrice di un programma di Yoga per bambini chiamato “Chilplay Yoga, The Yoga of Fun”.Nel corso degli ultimi anni ha rivolto grande attenzione verso le discipline olistiche e le medicine alternative, la sana alimentazione e il benessere psico-fisico. Ha una laurea in Scienze Politiche – Relazioni Internazionali e dal 2009 è iscritto all’ordine dei giornalisti del Lazio.Approfondisce come giornalista e studioso diverse tematiche, che riguardano anche i fenomeni dello stress e dell’ansia nel nostro tempo. Attualmente insegna Kundalini Yoga e collabora come giornalista con “Il Giornale dello Yoga” e “Yoga Magazine”. Con “L’osservatore d’Italia” e IlFormat info.; si occupa di elettrosmog e malattie ambientali. Inoltre, è responsabile della rubrica Benessere e Salute del quotidiano on line “Il Mamilio”.

Come costruire una sequenza

Cosa imparano gli allievi che decidono di frequentare un corso per diventare insegnanti di yoga? Tante, tantissime cose, tanta teoria, tanta pratica, e tra queste c’è anche una parte dedicata alla costruzione di una sequenza.
Eh già, perché le posizioni che vengono proposte dai maestri non sono messe a caso, sono un vero e proprio percorso. Ogni āsana deve stare al suo posto, c’è un inizio e una fine: è un cammino, e questo vale anche per l’Ashtanga Yoga e il metodo Sivananda con la sua Serie Rishikesh, due stili che hanno delle sequenze ben precise che sono sempre uguali, con piccole variazioni.

Ecco qualche suggerimento per costruire una sequenza se volete praticare a casa da soli:

Solitamente è sempre bene iniziare da Shavasana. Ci vuole tempo per sconnettersi dal mondo, se poi si è appena usciti dal lavoro, è bene prendersi qualche minuto per rilassarsi e portare l’attenzione al nostro corpo, al nostro respiro.

Si può proseguire sdraiati a terra con posizioni molto semplici. Si possono piegare le gambe mantenendo le piante dei piedi a terra, per poi salire con la testa e le spalle e portare le braccia avanti e le mani tra le cosce, compiendo una profonda espirazione, ripetendo per quattro, cinque volte. Poi, per esempio, sarebbe bene sedersi a gambe incrociate e inserire un pranayama o un kriya come Kapalabhati, per ripulire i nostri polmoni, purificarci, ampliare la capacità respiratoria e prepararci alla pratica.

Dopo questa fase si possono inserire degli allungamenti molto semplici ai lati, magari restando ancora a gambe incrociate, oppure alzandosi in piedi, partendo da Tadasana.
Poi si possono eseguire posizioni per migliorare la resistenza muscolare e l’equilibrio, come Garudasana, Vrikshasana, Virabhadrasana, Trikonasana o simili, per poi proseguire a terra, partendo da Virasana, e praticare Pashimottanasana, Ushtrasana o altro, posizioni avanzate che si possono considerare il vertice della sequenza.

Padahastasana, Pashimottanasana, Ardha Matsyendrasana

Una cosa fondamentale è ricordarsi sempre delle controposizioni. Per esempio, se pratico Padahastasana, quando torno nella posizione eretta in Tadasana, sarà bene eseguire una breve estensione indietro, per compensare la precedente chiusura, o viceversa.

Dopo aver eseguito āsana intense e che hanno richiesto un forte allungamento, come Pashimottanasana, è consigliabile praticare una torsione, che potrebbe essere Ardha Matsyendrasana. Se poi lavoriamo sull’allungamento degli ischiocrurali, è bene ricordarsi di lavorare anche sull’allungamento dei quadricipiti.

Si tratta di un vero e proprio lavoro di riequilibrio del nostro corpo, oltre che mentale.

Al termine della pratica si possono eseguire delle posizioni di ritorno e di rilassamento, come Ananda Balasana, da tenere a lungo, per poi concludere sempre come si era iniziato, in Shavasana; chi preferisce ed è già più esperto, può sedersi a gambe incrociate, per prepararsi alla meditazione finale.

Una pratica deve sempre durare all’incirca un’ora, un’ora e mezza ma non dimentichiamoci che possiamo praticare anche soltanto per dieci minuti se non abbiamo tempo, l’importante è seguire questo principio di costruzione di una sequenza e mantenere ogni posizione per almeno un minuto, cioè per una decina di respiri (questo per quanto riguarda stili di yoga non dinamici).

Saluto al Sole classico

Se pratichiamo di giorno, possiamo introdurre il Saluto al Sole, posizioni più avanzate e di estensione come Ushtrasana, se invece pratichiamo la sera dopo il tramonto, è bene eseguire posizioni più rilassanti e di chiusura, come Pashimottanasana o Padahastasana, per rallentare il battito cardiaco e agevolare il riposo notturno.

Tutte le posizioni che pratichiamo hanno uno scopo ben preciso, che è quello di imparare a stare comodi e seduti a lungo a gambe incrociate o in Padmasana (la Posizione del Loto) per meditare.

Perché non dimentichiamoci che lo yoga senza la meditazione (e la corretta respirazione oltre che la presenza mentale – ndr) non è altro che pilates.

Buona pratica a tutti!

Dejanira Bada, scrittrice, giornalista dal 2008, istruttrice mindfulness e insegnante di yoga (500 RYT) è nata a Jesi (AN) nel 1984 e vive e lavora a Milano. E’ la fondatrice del progetto MindfulnessWave.
Da maggio 2017 a ottobre 2018 ha scritto per il sito Il Giornale dello Yoga. Dal 2019 collabora saltuariamente con la rivista Yoga Magazine e il sito Yoga Pills.

Stretch Your Soul

Vinyasa per l’Ileo-psoas, detto anche “muscolo dell’anima”
Sequenza di Janine Claudia Nizza (Yoga Flow)

NOTA: All’interno di questo “Flow” potete inserire un riscaldamento con 5 saluti al sole (A e B) usando sempre la respirazione Ujjiay (dall’inizio alla fine) e seguendo la numerazione dei Vinyasa di “Stretch Your Soul” posti sotto ogni transizione o Asana nelle didascalie.

Le nostre risorse spirituali risiedono anche nel corpo e possiamo attingervi attraverso lo Yoga; il muscolo Ileo-psoas strettamente e profondamente connesso non solo in modo funzionale alla nostra vita, è l’argomento di questo Vinyasa attraverso il quale si può praticare l’ascolto e l’allungamento dei suoi profondi limbi dalle inserzioni toraciche e del bacino. In queste aree i Chakra più legati alle emozioni ed alla personalità concorrono allo sviluppo o meno di un sano rapporto con i centri Manipura, Swadistana e Muladhara.

Molto spesso le notizie che i media ci rivolgono sono negative e ci fanno sentire alienati, divisi. Allora il nostro corpo assorbe tutto come una garza, comprese  la paura e la sofferenza che percepiamo in noi e negli altri. Pensiamo di non poter far nulla per cambiare il male in bene, ma la nostra pratica quotidiana di yoga può gradualmente farci ritrovare la “voce dell’Anima” che ci incoraggia e che ci dà la forza di aiutare non solo noi stessi ma anche gli altri!

Sei seriamente interessato al metodo Yoga Flow? Non perdere l’opportunità di partecipare al prossimo Teacher Training.

Questa non è soltanto un’Era caotica ma anche un’Era piena di possibilità. L’energia vitale chiamata Kundalini (che lo yoga ci insegna a risvegliare attraverso l’attenzione al respiro) è “dentro” di noi ed è proprio per questo che ogni giorno possiamo trasformare la sofferenza in gioia e la malattia in guarigione partendo dalla nostra pratica. A volte durante la nostra pratica sentiamo che inspiegabilmente qualche parte di Asana che ci riusciva benissimo non viene più come prima.
Non sappiamo spiegarci da cosa dipenda, ci sentiamo soli di fronte a mille domande… che cosa sta accadendo? La verità è che lo Yoga praticato regolarmente porta in superficie anche i traumi del passato e li manifesta a suo modo attraverso il corpo: ferite inconsce che il nostro Ego ha sotterrato per non soffrire, riemergono quando la nostra consapevolezza riprende a svilupparsi.

Ricordiamo che oltre a  stabilizzare la colonna per camminare e per stare seduti l’Ileo-psoas ci consente di ”non  pensare:” agisce e basta grazie alla ripetizione dei nostri movimenti per esistere. Quindi è un muscolo “intelligente”, sensibile ai nostri stati d’animo e respiratori!

L’Ileo-psoas (una combinazione di due muscoli che hanno inserzione nella 12esima vertebra toracica e nella cresta iliaca) si lega visceralmente al nostro essere funzionale ed esistenziale. L’Ileo-psoas è profondamente connesso con le nostre emozioni e con il nostro “vero Sè”; in questa sequenza troverete non solo sollievo dall’irrigimento che percepite nella stazione eretta o quando camminate, ma anche la flessibilità e la fluidità che da questa deriva se praticata regolarmente!

Cercate letteralmente di “espandervi” nel ciclo completo dell’Albero Respiratorio che ossigena il vostro corpo in fase inspiratoria  ed elimina l’anidride carbonica in fase espiratoria.

Ricordate è molto importante durante la sequenza essere consapevoli del “reclutamento” ovvero la corrispondenza sinergica della pressione delle mani e dei piedi nella terra per attivare i muscoli pelvici e addominali, Uddiyanabandha e Mulabandha.
Iniziate con il lato destro e a fine sequenza continuate con il lato sinistro (ripetendo due volte per lato sentirete nel terzo e quarto Vinyasa una piacevole sensazione di apertura e allenamento nei muscoli del bacino e del torace) e finite con la posizione di Padmasana e poi di relax a terra in Shavasana.

Dedichiamo al termine della pratica gli  Om finali alla Pace:
Om Shantih Shantih Shantih OM!
Credits: Foto by Glauco Dattini

Janine Claudia Nizza.
Insegnante Vinyasa Yoga Flow dal 2002.
Expert Registered Yoga Teacher 500 Plus Yoga Alliance International.
Docente e autrice del TTC Vinyasa Yoga Flow 250 Online 2020/21 per la scuola di formazione HaraBenessere.
Docente del Corso Vinyasa Yoga Flow per FAO Staff Coop.

Autrice di numerosi articoli per: Vivere lo Yoga, Yoga Journal Italia, Yoga Magazine e Yoga Pills.
Info: www.yogaflow.it

I 7 Chakra: una mappa per il viaggio del Sè

Che tu sia un principiante oppure un praticante esperto, hai sicuramente sentito nominare i Chakra. Prima di vedere alcune caratteristiche di ciascuno dei sette Chakra principali, voglio offrirti una panoramica sul sistema dei Chakra, che fornisce un po’ una “mappa” per il nostro viaggio interiore.

Nel corso di migliaia di anni, infatti, in  India è stata condotta una intensa ricerca per comprendere lo spirito umano. Questa ricerca ha condotto allo sviluppo di molte mappe per la comprensione dell’universo interiore ed esteriore dell’essere umano. Un fattore comune in queste mappe è un approccio che integra corpo, mente e spirito e guarda agli individui come microcosmi che appartengono a un più ampio universo, che allo stesso tempo rappresentano.

I Chakra sono una tessera importante nel progetto completo di comprensione e definizione dei parametri dello spirito umano. Queste diverse mappe dell’essere -i kosha (involucro fisico, energetico, psico-emotivo, mentale e spirituale), i cinque elementi (terra, acqua, fuoco, aria ed etere), i Chakra–  si sostengono a vicenda ed unite formano l’immagine completa dell’essere umano e del nostro universo.

I Chakra formano parte integrante del Tantra yoga. Un aspetto chiave del Tantra è l’approccio positivo nei confronti del corpo fisico, per cui tutti gli aspetti della persona sono inclusi nella ricerca spirituale. La radice delle energie che devono essere risvegliate nel corpo è il potere della creazione stessa, la Kundalini. Questa energia dormiente rappresenta il potenziale di trasformazione spirituale e di risveglio ed è  evolutiva per sua stessa natura. Le pratiche di Hatha yoga sono usate per risvegliare e canalizzare queste energie per la trasformazione spirituale.

L’esperienza dei Chakra è considerato l’ambito di studio del Kundalini yoga.

L’esplorazione dei Chakra nella pratica è presa in considerazione anche nello yoga classico di Patanjali che forma la base filosofica della tradizione yogica. Nel terzo capitolo degli Yoga Sutras, Patanjali fornisce istruzioni dettagliate per la meditazione e molti dei chakra sono descritti come aspetti della pratica meditativa.

I Chakra rappresentano un elemento chiave anche in alcuni testi più tardi come l’Hatha yoga Pradipika o lo Shiva Samhita.

Quindi, nelle diverse tradizioni, le pratiche yogiche  vengono viste come strumenti per aprire, allineare ed equilibrare i Chakra. Queste tecniche funzionano sia purificando il corpo sia canalizzando l’energia dentro e attraverso i Chakra.

Dal momento che, come dice Pattabhi Jois, “Lo yoga è 99% pratica e 1% teoria”, ti invito a partecipare a una settimana di Yoga in Vacanza -Risveglia i chakra attraverso la pratica- che sto organizzando dal 1 all’8 luglio a Kytnos in Grecia. Sarà un’occasione per una pratica approfondita, in uno scenario naturale incantevole e nello spirito di condivisione.
Per maggiori informazioni, vai al link dell’evento.

La parola Chakra significa ruota. Si tratta di vortici di energia che ricevono energia dall’universo, la immagazzinando, e la distribuiscono a parti specifiche dell’insieme mente/corpo, attraverso una rete di sottili canali psichici, le nadi. I Chakra fanno parte del nostro corpo di energia, pranamaya kosha, ma la loro attività si estende ad ogni aspetto del nostro essere. Se vuoi avere un’idea del sistema energetico all’interno del quale si situano i Chakra, puoi leggere il mio articolo sulla  fisiologia sottile dello yoga.

Nella loro sostanza, tutte le energie dentro l’universo e dentro il corpo sono manifestazioni della fonte unica di energia. Queste energie tuttavia vibrano a diverse frequenze per soddisfare specifiche esigenze. I Chakra rappresentano queste differenti frequenze energetiche. Inoltre ad ognuna di queste frequenze è assegnata ad una zona del corpo e la propria funzione specifica. Ogni energia dei Chakra ha anche un tema specifico, che include archetipi fondamentali come la sopravvivenza, l’amore o la trasformazione spirituale e sono organizzati lungo una gerarchia evolutiva dei bisogni umani cominciando dalla sopravvivenza ed evolvendo attraverso la procreazione, la socializzazione, l’altruismo e l’intuizione, finché l’evoluzione spirituale non si manifesta nello sviluppo della consapevolezza unitiva.

I Chakra sono quindi archetipi di trasformazione e potenziale ad ogni livello del nostro essere. Questo potenziale latente è simbolicamente rappresentato dal fiore di loto (i Chakra vengono chiamati anche “loto”). Ogni Chakra viene raffigurato da un loto,  con un colore e un numero di petali caratteristico. Il numero dei petali aumenta man  mano che procediamo all’interno del sistema dei Chakra e rappresenta l’aumentata complessità di ogni centro energetico. I Chakra costituiscono una cornice psicologica, filosofica e spirituale per l’evoluzione e lo sviluppo dell’essere umano. Ad ogni passo del cammino, i Chakra descrivono un’area della nostra vita da esplorare, integrare e trasformare. Ogni Chakra costituisce le fondamenta per il Chakra successivo,  ed i temi centrali di sviluppo di ogni Chakra devono essere soddisfatti per poter soddisfare le intenzioni dei Chakra che seguono. Nonostante i Chakra formino una gerarchia, questo non significa però che l’evoluzione proceda in modo lineare.

Vuoi conoscere anche qualcosa in più su ognuno dei 7 Chakra principali?

  1. Muladhara – il primo Chakra
  2. Svadhistana – il secondo Chakra
  3. Manipura – il terzo Chakra
  4. Anahata – il quarto Chakra
  5. Vishudda – il quinto Chakra
  6. Ajna – il sesto Chakra
  7. Sahasrara – il settimo Chakra
Micaela Jorio. Nata a Roma nel 1968, madre di due figli. Pratico Hatha yoga dalla metà degli anni ’90 e lo insegno dal 2000. Kriyaban. Reiki Master. Insegnante certificata di Yoga in Volo e di Shakti Dance. Co-ideatrice e co-organizzatrice della manifestazione Energie nel Parco, insegno a Viterbo presso Energy Center “Le Torrette”.
Blog: www.vitadayogi.com

Yogapedia.it – La prima enciclopedia italiana libera interamente dedicata allo Yoga.

Se è vero che le idee spesso nascono per gradi, ben presto ti rendi anche conto che da solo puoi fare ben poco.
L’Unione invece, come lo Yoga insegna, puo’ portare a grandi risultati.
Questo è il concetto base di Yogapedia.it.

Ma facciamo un passo indietro. Personalmente devo molto allo Yoga, dal momento in cui ho iniziato a praticarlo ho subito avuto la sensazione di trovarmi nel posto giusto e da allora la passione e l’interesse per lo Yoga hanno continuato a crescere.

Così dopo qualche anno di pratica e di studio ho deciso di aprire una pagina su Facebook, Yoga Pills, per condividere un po’ di articoli e pensieri su questa fantastica disciplina. Una pagina che ben presto ha cominciato ad avere un discreto seguito e in breve è nato anche il sito web. Alla fine, per un ingegnere informatico “contagiato” dallo Yoga, è stata anche una scelta naturale.

L’intento è sempre stato quello di dare il mio contributo alla diffusione e alla comprensione di questa antica e affascinante disciplina, che personalmente mi ha dato molto, e di farlo in una maniera che fosse la più semplice e chiara possibile, pensando anche e soprattutto ai numerosi – e sono sempre più – principianti che scoprono lo Yoga e magari si trovano inizialmente un po’ spaesati.
Così, visto tutto il parlare dello Yoga che si fa in rete e sui social media, il mio intento è stato quello di cercare di fare un po’ di chiarezza calandomi nuovamente nei panni  del principiante, spiegando in termini chiari e semplici i concetti base dello Yoga.
Ecco perché la scelta delle “Pillole di Yoga”.

Avvalendomi di validi contenuti e collaboratori, ho cercato di creare una panoramica sui numerosi Stili di Yoga (che sono in crescita costante!), una sezione dedicata ai Libri, quindi agli Aforismi con le frasi ispiranti dei Grandi Maestri e i link ai migliori siti di Yoga disponibili in rete.
Così “Yoga Pills” è diventato ben presto un mini portale dello Yoga.

In seguito è nata l’idea di contattare e riunire i Centri Yoga d’Italia in una sezione apposita, con lo scopo di orientare chi magari è alla ricerca di una buona scuola o di un corso di yoga nella propria città. La segnalazione e l’inserimento avviene tramite un contatto diretto con le varie realtà, sia per validare in forma umana l’attendibilità dei dati forniti, sia per creare una rete di contatti, stimolando la reciproca conoscenza.
E la cosa, con mio grande piacere, sta funzionando.

Il fenomeno ha cominciato ad espandersi, incoraggiando anche i contatti tra le scuole, i centri e le associazioni o iniziative, insomma Yoga Pills si è trovato a fare in qualche modo da “collante” tra le diverse realtà legate al mondo dello Yoga.

Quest’articolo è tratto dal Numero 8 di Yoga Magazine (Gennaio 2017). Se sei interessato ad acquistare le copie cartacee di Yoga Magazine, puoi visitare la sezione “Tutti i numeri“. Il ricavato della rivista viene devoluto interamente ad opere umanitarie.

Ma veniamo finalmente all’idea di Yogapedia.it!

Si sa, l’unione fa la forza e solo con uno sforzo collettivo si possono ottenere buoni risultati. Lo Yoga è ormai un fenomeno in grande espansione e, vista anche la sua diffusione così rapida negli ultimi anni, si è creato in rete un proliferare di contenuti non sempre “all’altezza”. Yogapedia.it cerca quindi di essere, un po’ ambiziosamente, un punto di riferimento in grado di fornire informazioni sempre corrette e aggiornate su quello che è oggi lo Yoga in generale e in Italia in particolare.

Anche in questo caso, grazie all’aiuto di validi contributori, una volta introdotti i concetti di base, si è scelto di partire proprio dagli Stili di Yoga, opportunamente divisi e catalogati in Stili tradizionali, Stili moderni e Metodi. A fianco degli stili più noti, si è deciso quindi di dare spazio anche ai nuovi stili che stanno emergendo, lasciando che siano gli insegnanti stessi, che li hanno elaborati o li insegnano quotidianamente, a parlarne.

Infatti su Yogapedia.it, una volta registrati sul portale, chiunque potenzialmente può scrivere o modificare i contenuti, proprio come avviene sulla più famosa Wikipedia. Il concetto di base (e il software utilizzato) infatti è proprio lo stesso.

Ad oggi in Yogapedia.it sono iscritti circa 30 contributori (in crescita) tra i quali figura anche Yoga Magazine (con il quale è nata anche una bella collaborazione), e in crescita sono pure i contenuti. Il progetto è giovane, ma sta evolvendo costantemente e tutti coloro che avessero voglia di partecipare e prenderne parte per dare il proprio contributo sono invitati a visitare il sito www.yogapedia.it e richiedere la registrazione. Basta solo un minuto.

Magari potrete trovare semplicemente l’informazione che stavate cercando o scoprire un nuovo Stile di Yoga di cui non avevate mai sentito parlare. Oppure sentire il bisogno e la voglia di aggiungere l’informazione che manca. In ogni caso sono la passione e la condivisione ad animare il progetto. Ognuno fa quel che può, quando può, se può. E a mio modo di vedere, così si potranno ottenere degli ottimi risultati. Per il bene dello Yoga.

Stefano Orlandi. Praticante entusiasta di Yoga, fondatore di “Yoga Pills” e “Yogapedia.it”.
Libero professionista, vivo a Brescia e da ormai diversi anni pratico Yoga quotidianamente. Ho iniziato dapprima a causa di alcuni problemi di salute e poi… non ho più smesso!
Negli anni poi, oltre allo Yoga, il mio interesse si è esteso all’alimentazione, alla salute e al benessere del corpo e della mente in generale.